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Tamara Ferrari, vincitrice del premio "Bernardino Telesio - Calabresi di successo"
domenica 20 marzo 2011
tamara_ferrari.jpgdi Antonietta Malito
ALTILIA / Tamara Ferrari, giornalista, è una giovane donna, originaria di Altilia, che da anni vive e lavora a Milano.
Nei giorni scorsi la Camera di Commercio di Cosenza le ha conferito l'ambito riconoscimento "Bernardino Telesio - Calabresi di successo: donne e uomini che si sono distinti nella cultura, le professioni e l'arte", per i suoi reportage in Calabria, come quelli pubblicati sul noto settimanale Vanity Fair, in cui ha denunciato la drammatica situazione degli africani di Rosarno, e per il suo libro "Con gli occhi sbarrati.
La straordinaria storia di Salvatore Crisafulli", un racconto appassionato nel quale Tamara riporta la testimonianza di vita di un 41enne che, dopo un coma durato cinque mesi, si risveglia, ma si ritrova prigioniero del suo corpo.
La consegna del premio è avvenuta presso il Palazzo Affari Giureconsulti di Milano. Insieme a lei sono stati premiati il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il criminologo Francesco Bruno e lo stilista Claudio Greco.
 - Come ci si sente ad essere una "Calabrese di successo"?
«Come prima, non è cambiato niente. Però mi ha fatto molto piacere quando ho ricevuto la telefonata dalla Camera di Commercio di Cosenza in cui mi comunicavano che volevano darmi il premio "Bernardino Telesio". È bello sapere che, nonostante la lontananza, la nostra regione si ricordi di noi».
- Vivi e lavori a Milano ormai da anni, ma quanta parte del tuo cuore è rimasta nella tua terra d'origine?
«Sto a Milano da dodici anni, ma il mio cuore è rimasto ad Altilia, il mio paese di origine; a Grimaldi, dove ho trascorso i primi anni della mia vita; e a Cosenza, dove ho studiato e mosso i primi passi da giornalista. Per me "casa" è e resterà sempre Altilia».
- Fra tutti i reportage realizzati in Calabria, quale ti ha coinvolta maggiormente?
«Rosarno, a dicembre 2009. Non dimenticherò mai gli sguardi degli africani arrivati per raccogliere le arance e costretti a vivere in condizioni disumane in quelli che sul mio giornale, Vanity Fair, soprannominammo i "tre lager della Piana": l'ex Opera Sila, dove dormivano nei silos; la Rognetta, dove vivevano in tende di cartone, e la collina di Rizziconi. Durante quel reportage, andammo anche a Corigliano, per documentare anche lì la loro situazione. Molti vivevano accampati sulla spiaggia ed erano talmente affamati che, quando i pescatori davano loro del pesce, lo mangiavano crudo. È terribile pensare che cose del genere accadano proprio dietro casa nostra».
- Credi che per un giovane della tua età sia possibile diventare un "Calabrese di successo" rimanendo in Calabria?
«È più difficile, ma perché no? Di "Calabresi eccellenti" che non hanno mai lasciato la Calabria ce ne sono tanti. Penso al pm Nicola Gratteri, al giornalista della "Gazzetta del Sud" Arcangelo Badolati, allo stilista Claudio Greco. Tutta gente che si è fatta avanti da sola».
- Perché hai scelto di fare la giornalista?
«Non l'ho mai scelto. Fin da piccolissima ho sempre immaginato che da grande avrei fatto questo. È stato un percorso naturale».
- Quanto conta per te la famiglia?
«È l'unica cosa che conta nella vita. E non smetterò mai di ringraziare Dio per avermi dato i genitori e la famiglia che ho avuto».
- Quando ritornerai ad Altilia?
«Sicuramente a Pasqua, forse prima. Non vedo l'ora...».
Ultimo aggiornamento ( domenica 20 marzo 2011 )
 
 
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