Saggio in prosa di F. VETERE

La Tradizione leggendaria avvolge in un arcano Mito il mistero dell'Araba Fenice, sacro uccello di fuoco che risorge dalle proprie ceneri, la cui metamorfosi viene solennemente celebrata dalla religione egizia nel Rito di morte e resurrezione.

Genesi antica, dunque, secondo rituale matrice sacerdotale, che negli imponenti templi d'Egitto onora RA, il Sole quale Disco di Fuoco, da cui discende la Fenice, longevo Airone etiope.

La sua esistenza in terra dura cinque secoli, lungo lasso di tempo nel quale il mitico uccello si affanna a raccogliere erbe medicinali per intessere il suo nido, sapientemente costruito per viverci ma anche per diventare il suo infuocato letto di morte. Voraci fiamme lo avvolgono in un crudele rogo per suo volere, in cui bruciare le sue carni nella consapevolezza che dalle sue ceneri sarebbe rinato per incarnarsi in una nuova Fenice. 

Così si adempie il divino disegno di Rigenerazione, che dopo purificazione nel tempio del Sole ritorna nel natio luogo etiopico per novella vita. Il fascinoso dramma della Fenice evoca l'universale concetto di morte - resurrezione, perché la perdita della vita è fonte di altra vita e slancio rigenerante, talché le religioni assorbono l'essenza di tale suggestivo mito.
La dottrina cristiana, prendendo le distanze da altri credi, fa' proprio il significato recondito di morte come prodromo di vita che precede la resurrezione dalle oscure tenebre del nulla.

Il misticismo biblico e la storiografica greca nonché la letteratura mondiale avvolgono in un crogiuolo di passaggi culturali la storia sacra, tramandata dalla casta sacerdotale egizia e sublimata in un eterno Mito, di cui supremo attore è Dio.

Seguace di tale mitica trasmutazione è la filosofia religiosa dei Padri della Chiesa latina e greca, affascinata dal messaggio mistico della Fenice, che viene elevata a simbolo di nuova linfa di spirituale rinascita verso l'immortalità, vittoriosa sulla morte proprio come la vittoria di Cristo. 

Da ciò nasce il rispetto della Chiesa cristiana nei confronti di una storia pagana, ma pregna di significato etico perché si pone in una simbologia profetica e messianica, che rinnegando le antiche e ancestrali pratiche di una cruda religione, ne fa' risorgere un'altra dalle ceneri della precedente. 

Anche la Filosofia ermetica non resta immune al richiamo pieno di mistero che la sacra Fenice irradia nella Scienza alchemica, la cui essenza si dirama nei concetti fisici e metafisici ancorati alla conoscenza dell'umano spirito.

La longeva esistenza del mitico Airone con la sua fantastica rinascita dalle proprie ceneri, ne fece un simbolo di trasmutazione dell'essere, ovvero di umana rigenerazione in senso simbolico e spirituale, per addivenire al perfezionamento di se stessi mercé apporto divino.

Tale metamorfosi si sostanzia nelle tre figure allegoriche del nero corvo, del candido cigno e del rosso quale simbolo della vittoriosa Fenice che si sublima elevandosi in volo, schernendo la morte.
Qui emerge la similitudine con Cristo, che festeggia la sua resurrezione dalla materia dopo aver vinto la morte quale atto fisico per ricongiungersi con il Padre e approdare all'eternità.

Tutto ciò costituisce il simbolo del sacrificio che il Redentore ha accettato per volontaria scelta e retaggio di indicare all'umanità la strada per risorgere dalle ceneri dei propri errori e giungere così alla trasformazione dell'io onde renderlo degno di etica purificazione.

La storia infinita della mitica Fenice si riverbera nella storia di Cristo, in una sequenza di azioni che partendo da un pagano esempio si innesta nella sublime esperienza del Figlio di Dio, il cui sacrificio vitale non conosce mai oblio, superando la barriera del tempo e cadenzandone il ricordo nella ciclica celebrazione della Santa Pasqua di Resurrezione.

Dalla Raccolta filosofica "HERMETICA" di F. VETERE  

 

 

Il 2021 è l'anno delle grandi celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, Sommo Poeta, forse il più grande di sempre e di tutti, padre della lingua italiana. Infatti la "Divina Commedia" è il testo base della lingua italiana e Dante è un simbolo del "mondo italiano", molto prima dell'unità politica del Paese.
La Calabria si può riconoscere nella suprema arte dantesca attraverso due personaggi: "Il pastor di Cosenza" ("Purgatorio", Canto III) e Gioacchino da Fiore ("Paradiso", Canto XII).
Nel Canto III del "Purgatorio", Dante incontra le anime degli scomunicati, tra cui Manfredi, che, nei vv. 124-132, dice: "Se 'l pastor di Cosenza, che alla caccia/ di me fu messo per Clemente, allora/ avesse in Dio ben letta questa faccia,/ l'ossa del corpo mio sarìeno ancora/ in co del ponte presso a Benevento,/ sotto la guardia della grave mora./ Or le bagna la pioggia e move il vento/ di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,/ dov'è le trasmutò a lume spento." ("Se il vescovo di Cosenza, che allora fu mandato in cerca del mio cadavere, avesse ben valutato questo aspetto di Dio, le ossa del mio corpo sarebbero ancora a un'estremità del ponte presso Benevento, sotto la custodia del pesante cumulo di pietre. Ora le bagna la pioggia e le smuove il vento fuori del regno di Napoli, quasi lungo il fiume Liri (che segnava il confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa), dove egli le fece trasportare a luci spente).
Manfredi (1232-1266) era figlio di Federico II di Svevia. Alla morte del padre, nel 1250, appena diciottenne, assunse di fatto il governo del regno di Sicilia fino all'arrivo del fratello Corrado IV, legittimo erede. Quando questi morì, Manfredi, col pretesto di tenere la reggenza per il piccolo Corradino, si fece incoronare a Palermo (1258) re di Napoli e di Sicilia. Scomunicato da papa Innocenzo IV, tutore di Corradino, Manfredi cercò di riunire intorno a sé le forze ghibelline italiane contro la Chiesa, nel tentativo di conquistare l'intera penisola. I Ghibellini erano i sostenitori dell'imperatore, i Guelfi, invece, quelli del papa. Preoccupato per la vittoria dei Ghibellini a Montaperti (località a sud di Siena), nel 1260, il papa francese Urbano IV chiamò in Italia Carlo I d'Angiò, affinché ne occupasse il regno. Carlo accettò l'invito e, sceso in Italia, venne incoronato re d'Italia nel 1265; il 26 febbraio 1266 Carlo affrontò e sconfisse a Benevento l'esercito di Manfredi, che morì in battaglia.
Il dantesco "pastor di Cosenza" è Bartolomeo Pignatelli (1200 circa-1272 circa), vescovo di Cosenza (1254-1266). Passato il Regno di Sicilia nelle mani degli Angioini, il Pignatelli fu nominato arcivescovo di Messina (1266-1272). In questa occasione si inserisce l'episodio dantesco su Manfredi. Il Pignatelli, con , il consenso di papa Clemente IV, profanò il cadavere di Manfredi, che rimase ucciso in battaglia; tornando da Roma per recarsi a Messina (settembre 1266), egli dissotterrò il corpo di Manfredi dal tumulo di pietre sotto il quale i soldati francesi lo avevano sepolto per onorarne l'eroismo, benché fosse stato un nemico; quindi, trasportandolo a candele rovesciate e spente, come si faceva con gli scomunicati e gli eretici, ne disperse i resti al di fuori dei confini dello Stato della Chiesa, probabilmente presso il fiume Liri, che era detto "Il Verde".
Dante colloca Manfredi nel Purgatorio, mentre l'opinione comune riteneva dovesse trovarsi senza dubbio tra i dannati, essendo egli morto scomunicato. Nel dialogo con il poeta, Manfredi prega Dante, quando ritornerà sulla terra, di riferire a sua figlia Costanza che egli è salvo, contrariamente a quanto laggiù si pensa. Egli infatti afferma di essersi pentito e convertito all'ultimo istante, in punto di morte e, nonostante le sue orribili colpe, di aver ricevuto il perdono dell'infinita misericordia divina. Col proprio sincero pentimento, rivolto in extremis a Dio, Manfredi ha ottenuto quella salvezza che la Chiesa gli aveva negato con la scomunica. Manfredi è salvo: per le scomuniche non si perde la possibilità della salvezza, sostiene l'anima del re, perché, spesso, neanche la Chiesa arriva ad immaginare e concepire l'infinita bontà divina. 

Giuseppe Pizzuti, docente  

 

 

Cosenza, il castello Normanno-Svevo

 

 

Concetti teologici e aristotelici vengono mediati dall'Aquinate con deduttivo acume che desta meraviglia e stupore in coloro che pensano essere inconciliabili le due essenze intellettuali. Non estranei alla sua meditata vocazione sono gli epigoni di S.Domenico, supportati da quell'Alberto Magno che sarà il suo mentore nel percorso accademico in terra di Francia. Un empito mai sopito lo spinge verso studi teologici che lo porteranno verso la predicazione della parola di Dio in un magistero che consacrerà la sua profonda conoscenza dei Testi della cultura cristiana nonché di quella pagana. La Filosofia aristotelica ha per Lui un interesse culturale che travalica il limite religioso per approdare a dimensione di conoscenza di un pensiero che si discosta dalla matrice spirituale platonica, per cui gli Scritti di Aristotele, riproposti da fonti orientali vengono attentamente analizzati onde verificarne l'autenticità.
Difensore della religione di Cristo propone un serrato confronto con quei Filosofi, che per retaggio aristotelico affermano esserci un nesso tra Verità e Ragione ma che Tommaso rafferma nel configurare con cognitio ex causa la forza del Vero, rifulgente solo nella parola di Dio.
Il filosofo arabo Averroè, citato da Dante in Inf. IV, il cui commento sul pensiero di Aristotele ha subito forte contaminazione dai suoi seguaci ma che Tommaso elabora per dimostrare che la teoria "dell'unicità dell'intelletto" è in contrasto con il dogma " dell'immortalità dell'anima " e che tra Verità filosofica e Verità teologica non vi è divisione alcuna.
l'Aquinate, dall'alto dell sua immensa spazialità culturale, non si fa condizionare dal peccato di blasfemia, volando alto sulle teorie aristoteliche e cercando possibili convergenze tra queste e le istanze cristiane dopo aver purificato gli originali concetti dello Stagirita dai refusi manuali ed intellettuali dei chiosatori arabi.

 


L'intelletto umano necessita di spaziare nello studio di concetti filosofici profani, coerenti con la Fede e che "de naturali jure " vengano studiato dai Teologi cristiani per servirsene come indispensabile viatico nella ricerca del divino.
Anche le maggiori Verità di approccio all'umana razionalità possono estrinsecarsi in un cauto approfondimento della filosofia aristotelica anche se solo come base di culturale conoscenza. "Tutti gli esseri umani tendono per natura al sapere", come recita l'incipit della Metafisica aristotelica e tale asserzione viene fatta propria da Tommaso con l'ausilio dell'intelletto, proteso verso la perfezione per giungere al sapere mercé anche contezza che principio e morte non possono essere disgiunti.
È la Filosofia che assolve a tale necessaria esigenza nell'intento di guidare l'uomo verso il giusto cammino conoscitivo, supportata dalla Fisica e dalla Matematica che si fondono nell'oggettivo concetto di "speculabile" che afferisce alla Mente speculativa, quale unica entità di contatto con la Verità.
La scienza del Sapere, che ricongiunge l'uomo alla sua origine fa sì che questi percorra quel sentiero che lo porterà verso Dio perché la brama di conoscenza è la stessa Bramante di approcciarsi al Divino e dunque alla naturale destinazione.
Il pensiero filosofico pagano manifesta un' astrazione concettuale che Tommaso non disdegnerà ma cercherà di correggere attraverso la Metafisica quale Scienza della Filosofia teologica ispirata da Dio per cui Fede e Ragione convivono solo se coniugano intenti condivisi, per far sì che entrino in simbiosi e non in contrasto alla Fede.

 


Dante magnifica la Santità filosofica di Tommaso in quei Canti del Paradiso dove la figura del Santo d'Aquino rifulge di vivida luce di sapienza, accostandosi a Lui quale precursore di un nuovo modo di pensare la dottrina aristotelica come appendice del pensiero cristiano in senso razionalistico ma non di mistica condivisione. La " Summa theologica ", tedofora degli inconfutabili concetti tomistici , pur attingendo a riveduta linfa aristotelica sublima il rapporto fra Rivelazione e Teologia, legato alla Scienza dei Numeri e delle Linee, mossi dai principi rivelati da Dio, da cui tutto proviene e in cui si coagulano Essenza ed Essere.

(Da "Poetica e Filosofia" di F. Vetere, docente di discipline umanistiche)

 

 

RENDE (Cosenza) - “Fiabe appese all’albero del mondo” edito da La Caravella editrice, è l’ultima fatica letteraria di una scrittrice, alquanto feconda, quale è Anna Laura Cittadino. Dopo aver dato alla stampa sei volumi di successo tra cui ricordiamo: Pane per l’anima, La colpa di scrivere, Pensavo di vivere cent’anni, Caterina e Beta la stellina, I bucaneve di Ravensbrùck e Screaming, Anna Laura Cittadino torna in libreria con una raccolta di tre fiabe rivolte alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria.

Le fiabe illustrate da Aldo Barrese, affrontano tematiche attuali. In 'Abetina e la città di cemento, l’industrializzazione e l’edilizia sfrontata dettata dalla modernità hanno cancellato ogni residuo di natura e di bellezza; così la protagonista, grazie all’aiuto di un saggio Uccello Speranza, impara l’arte di saper coltivare un piccolo seme per ridare speranza, respiro e colori al suo mondo.

Ne 'La Luna e il poeta', due ragazzi vedono esaudito il loro desiderio di essere amati grazie all’aiuto della luna, felice di aver ritrovato la sua antica funzione di riferimento per gli innamorati. Infine, in 'Viòlet sotto il cielo di Natale a Damasco, una nostalgica bambina sogna un Natale lontano dalla guerra e inondato dalla neve. Il suo desiderio viene ascoltato da due fatine, che con la neve e la magia portano finalmente la pace.

Fiabe come veicolo di messaggi positivi e di speranza, il cui unico obiettivo è quello di ridestare negli animi i sentimenti di rispetto e amore per la natura e la vita, di condivisione e compassione, rafforzando il potere dell’immaginazione. Racconti semplici ma dal grande impatto emotivo, in cui personaggi con le loro storie e le loro vite, in maniera serena, infonderanno fiducia e speranza, riscoprendo la semplicità e l’importanza dei valori e dei piccoli gesti che spesso la vita frenetica ci fa dimenticare.

 

 

COSENZA - Tra le pagine di un libro, che ha l’odore inconfondibile della carta appena stampata e dell’incostro dal profumo misto della polpa del legno, note erbose e di vaniglia, si scoprono fotografie che ancora oggi attendono di essere ammirate dall’occhio attento dell’osservatore. Le pagine di "Conosci Cosenza - Itinerario guidato nella città storica” di Piero Carbone portano il lettore a compiere un viaggio attraverso: piazze,vie, edifici pubblici, chiese, fiumi, ponti, case nobiliari, monumenti. Così la bella Cosenza, sonnecchiante e troppo spesso dimenticata, abbandonata ma che aspetta solo di risplendere come il sole dopo un temporale, patria di personaggi illustri come Bernardino Telesio, si riscopre attraverso scatti fotografici che rispolverano antichi ricordi storici nonché aneddoti e leggende che la rendono un piccolo scrigno prezioso ricco di gioielli rari che aspetta di arricchire culturalmente chi voglia guardarla e conoscerla.
L'autore, il giornalista Piero Carbone, corrispondente del “Quotidiano della Calabria” e redattore de “ La Voce del Savuto”, scrive il volume con entusiasmo e passione, portando nel cuore in particolare la straordinaria “Cosenza vecchia”. “È tutta Cosenza vecchia che amo, dal vicolo più nascosto, alle vie più note. Far conoscere la città antica è fondamentale per non far disperdere un patrimonio che a causa dei mancati interventi delle istituzioni preposte a sessant'anni ad oggi rischia seriamente di essere cancellato”.
Il lavoro è stato curato da “Atlantide – Centro studi nazionale per le arti e la letteratura” e da “Serigrafisud edizioni”, con il progetto grafico di Franco Mazzulla, finito di stampare presso la Universal Book.

 


La guida è composta da cinquantotto pagine, con testo corredato da più di cento foto ed itinerante che accompagna, passo dopo passo, il visitatore alla scoperta della città antica, scritto in maniera semplice e scorrevole.
«La sua realizzazione – spiega Carbone – è il risultato di un percorso di conoscenza e documentazione maturato negli anni attraverso la partecipazione a diverse visite guidate nella città antica, motivato dall'amore e dal senso di appartenenza legati al luogo di nascita. Un lavoro che vuole offrire un primo contatto in favore di quanti vogliano conoscere la parte più bella di Cosenza: ricca di storia, archeologia, arte e cultura. Un filo conduttore che si inserisce tra vicoli, piazze, chiese e monumenti. Un itinerario guidato, utile allo studente, al cittadino, al turista, che invita a scoprire una città nella città, perchè la Cosenza distesa sul colle Pancrazio (altri sei colli la cingono: Triglio, Mussano, Venneri, Gramazio, Guarassano,Torrevetere) fino al margine dei fiumi Crati e Busento, è un gioiello separato dalla città nuova».
Attendendo che l'emergenza sanitaria, causa Covid-19 e la pandemia in corso si allenti permettendo ai visitatori di affollare di nuovo i luoghi della città dei Bruzi e che la preziosa guida di Carbone possa essere presentata in pubblico, si può prenotare il prezioso volume inviando un'email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .
Il volume di Carbone fa parte di un progetto al quale il giornalista sta lavorando e che sta muovendo i primi passi e prevede in primis una integrazione della guida in lingua inglese.

 

 

La Patristica occidentale tardo-antica si fregia di un gioiello di cultura, sulla cui scia la Cristianità trova uno scrigno di fede unico, consacrato da sentita e voluta conversione. Agostino riversa nelle Confessioni la forza di interiorizzare la Fede mediante studio teologico, rafforzato da capacità di forte pervasività nell'animo umano. Una nuova visione del Mondo apre uno spiraglio di luce nell'oscurantismo religioso di un evo particolarmente fragile nel vivere una sana esistenza. Ne sono prova assoluta le immortali pagine del "De civitate Dei", pietre miliari di un retaggio culturale che influenzerà il percorso dei secoli futuri. I rivoluzionari precetti agostiniani diffonderanno la dottrina della Predestinazione e della Grazia che ne perpetuerà l'essenza fino a travalicare i limiti del tempo. L'Uomo di Tagaste, poi Santo d'Ippona, profonde nelle sue opere tutto il Sapere, da cui è stato forgiato prima in vita secolare e poi nell'ascesi spirituale, elargita dalle Sacre Scritture. 

 

Lungo e sofferto il suo cammino di iniziato alla fittizia religione manichea, che vive con trepidante scetticismo quasi per due lustri, fino a quando la realtà di credere in un arido materialismo assume per lui insostenibile sopportazione. Il Vescovo Ambrogio squarcia la sua labile e agnostica maschera, permeando la sua anima mediante tenace spirito esegetico, scaturito dalla pervasiva forza del suo eloquio e da condivisa convinzione dell'assoluta unità di Dio mercé forte ausilio della Fede. Introspezione psicologica e potenza percettiva raffermano gli acuti concetti che rifulgono nelle pagine delle sue Confessioni, pregne di vero pathos esistenziale quando, per petentorio volere della madre, si distacca con forte e sofferta lacerazione interiore della donna che lo tiene prigioniero della sensualità materiale e del peccato. La forza sprigionata dal suo teologico intelletto, accanto ad una originale visione della Storia, collocano Agostino nel novero di quelle illuminate figure che espandono vasta eco di vigorosa intellettualità e che non si disperde nel passaggio degli evi. 

 
Il suo pensiero spazia in una profonda riflessione intrisa di alta valenza teologica, con al centro la malata storia umana, descritta con esaustiva analisi nel " Civitate Dei ", in cui si esalta il valore della Redenzione in una visione teocentrica che ha Cristo come solo protagonista. Il prodromo del suo cammino apologetico vede nell'amore materno essenziale momento per convertire lo spirito al servizio di Dio dopo abiura all'edonismo della vita secolare, mercé anche appassionata lettura di un brano che Paolo di Tarso ha indirizzato ai Romani. La sua indole, fortemente sensibile e irrorata da un irrefrenabile sentimento affettivo, sfocia nel disprezzo del peccato, nella ricerca della Verità e della divina Bellezza, già percepite nella sua interiore essenza, che si concretizzano nel soggiorno ad Ostia in compagnia di Monica, sua genitrice. Un sereno colloquio con la materna figura sublima viepiù la sua conversione, corroborata da rapita estasi divina e impressa nelle inobliabili pagine delle Confessioni, in cui la profonda sensibilità di Agostino riflette in alcuni aspetti la sua cultura di matrice neoplatonica. Prima di infausto destino che colpisce la madre fino alla morte, Monica ha come fervente conforto di vedere , nell'ultimo barlume di vita, la completa conversione di Agostino. Ad Ippona riceve gli abiti talari vescovili, dove inizia un percorso pastorale, forte di profondo studio teologico delle Scritture, che riversa nella difesa della Fede cristiana, minata da blasfema ideologia eretica.
Il dogma cristiano delle tre Nature di Cristo viene riaffermato nel De Trinitate attraverso inscindibile nesso fra Padre e Figlio plasmati dall'Amore dello Spirito Santo, e riversati nell'uomo per ricercare nella propria interiorità la Verità. Così, la mistica concezione agostiniana si sostanzia nell'immortale locuzione latina:" NOLI FORAS IRE, IN TE IPSUM REDI; IN INTERIORE HOMINE ABITAT VERITAS . (" Non estraniarti, ritorna in Te stesso; la Verita alberga nell'intimo dell'uomo ")

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Ad Agostino Todaro e Agostino Imbrogno a ricordo del nostro giovanile percorso scolastico.

Franco Vetere 

 

 

Le dottrine filosofiche dei Discepoli di Platone, ritenute obsolete nelle loro empiriche formulazioni, vengono fortemente contestate nel luogo deputato alle dissertazioni filosofiche, ovvero il Peripatos, privilegiando le istanze in cui Scienzame Natura sono entità in stretto nesso fra loro.

Il grande Alessandro riceve crisma culturale da Aristotele, macedone di patria e stagirita di nascita, e pur nella diversità di contrastanti e inconciliabili idee politiche, il Filosofo precettore nutre il giovane Re di ideali che sublimano la cultura greca e della superiorità intellettuale da riversare in alveo universale.

Il pensiero aristotelico è ammantato di riservato ermetismo, racchiuso in un Corpus di difficile interpretazione. Una nuova concezione teologica fluisce nella sua mente, fino ad individuare la somma perfezione in Dio attraverso la filosofia come scienza di rigenerazione del Divino. Lo scontro tra Realismo empirico di Aristotele e Iperrealismo platonico si traduce in netta divergenza di idee perché lo spirito dello Stagirita leva lo sguardo verso le umane vicende, per cui la vita è pura contemplazione, avulsa da desideri e da necessità, spaziando così nell’universo dopo aver analizzato ogni sfumatura. 

 

 

Aristotele si nutre di linfa platonica già dalla prima gioventù, ma ne rimane distante avendo Egli formazione sociale e politica forgiata dalle sue origini macedoni. Alle istanze classiche del modello ateniese antepone l’ideale cosmopolita e scientifico poiché la visione etica della vita lo induce ad indagare sulla conoscenza e sui fini da cui è motivata. Da ciò nasce il concetto gnoseologico dopo contezza che lo spirito umano ha capacità di conoscere mercè la forza della filosofia che stimola la virtù a valersi della ragione onde considerare le cose della vita sotto valenza etica e universale, per scoprirne viepiù l’unità superiore e avere una visione verso il particolare.

Grandioso è il suo pensiero sulla Giustizia, vista come virtù autonoma necessaria e come fondamento etico di un regno non virtuale ma reale grazie all’equità delle leggi “erga omnes”.

Dunque l’Etica pervade la Giustizia quale strumento di assoluto dominio sugli istinti e come moderatrice di atteggiamenti prevaricatori, specie quando la politica li avalla. Da matrice etica si generano le Virtù, da cui scaturisce la sapienza prerogativa dei soli filosofi, mentre ad una larga frangia di umanità è demandata una saggezza intrisa di prudenza.

La Logica, in quanto costola della Metafisica è una realtà soprannaturale che sovrasta tutto ciò che è fisico, dunque una scienza che supera la materia per porsi come chiave di lettura per la scoperta del giusto sapere e della verità. Per cui Metafisica e Logica s’identificano con la “Filosofia prima”, quale essenza immutabile di tutte le cose, volta alla ricerca della via maestra, ultima ed eterna meta, che attraverso lo studio della Teologia possa approdare a Dio. 

 

 

Secondo incerta ed empirica teoria, la Logica ha poliedrica aderenza al “formale” e al “materiale”, ma lo Stagirita rivisita e riordina il concetto dopo abiura delle “idee platoniche”, ovvero non esistono innate intuizioni ma la “cognitivo ex causa” risponde al criterio sensitivo.

Proprio dai sensi si diparte l’immaginazione pura, madre della possibilità di formulare i concetti senza oscure coltri ma chiari e intelligibili.

La teoria logica genera il sillogismo deduttivo che Aristotele pone come base di un meditato ragionamento, che affonda le radici nell’essenza mortale dell’uomo e nel sistema matematico della quantità. Tuttavia, nonostante la differente teoria della mortalità e immortalità dell’anima, Aristotelismo e Cristianesimo si coagulano nelle originali teorie del Filosofo Aquinate, ovvero quel S. Tommaso che medierà le due istanze di pensiero.

Franco Vetere 

 

 

ARISTOTELE, ALLIEVO E CRITICO DELLA FILOSOFIA DI PLATONE

 Per Platone solo la poesia è generatrice di pensieri buoni e belli del poeta che prende lo slancio da un divino entusiasmo che ferve nel suo intimo e che è dono del nume.

La poesia per Aristotele è fondamentale perché produce la realtà attraverso i sentimenti, le emozioni e le sensazioni del poeta.

Platone, inoltre, asserisce che l’anima è articolata in modo differente a seconda dei tipi d’uomo: l’anima razionale è propria degli uomini d’oro, la cui caratteristica principale è la ragione; l’anima irascibile è propria degli uomini d’argento mentre l’anima concupiscibile è propria degli uomini di ferro, legati ai beni materiali e sensibili.

Secondo Platone l’anima è pure immortale e, quando il corpo muore esso accede alla visione delle Idee, elevandosi prima di reincarnarsi in un altro corpo, senza però ricordare ciò che ha visto nel mondo delle Idee.

L’anima è, per Aristotele, la struttura stessa del corpo che guida il funzionamento dei suoi organi per mantenerlo in vita, e quando lo lascia diventa cadavere senza vita. Le funzioni dell’anima sono tre: vegetativa, sensitiva ed intellettiva e quest’ultima, dotata di pensiero e volontà, è superiore alle altre e svolge anche le loro funzioni inferiori.

Tutte queste differenze non devono far pensare ad una contrapposizione netta fra Aristotele e Platone. Aristotele, pur andando oltre Platone, nel suo impianto filosofico reca forti eredità del maestro e analogie sostanziali.

Espressamente, all’ipotesi dell’esistenza di atomi in continuo divenire nel vuoto, sostenuta da Democrito, si contrappose il pensiero di Platone e in seguito quello di Aristotele. Platone nega l’esistenza del vuoto ed anche Aristotele, allievo di Platone, è attratto dall’ordine cosmico come il suo maestro e nel suo schema ordinato e simmetrico dell’universo, formato da una serie di sfere concentriche sulle quali sono collocati i pianeti, non c’è spazio per il vuoto e gli atomi di Democrito.

Sulle analogie sostanziali fra Platone e Aristotele la cultura occidentale, approfondendo e reinterpretando l’opera di questi due maestri in ambito specificatamente filosofico, ha avvicinato questi due giganti della filosofia sottolineando come l’impostazione generale del pensiero aristotelico sia debitrice dell’essenzialismo del maestro Platone, che rappresenta il loro concetto base comune.

In sostanza, i due pensatori vengono accomunati dal ricorso di entrambi all’intuizione intellettuale per ottenere ogni conoscenza che deve fondarsi sull’essenzialismo che è la ricerca dell’essenza e della sostanza delle cose che costituiscono la realtà naturale: il mondo che ci circonda, nel quale noi stessi viviamo e del quale siamo parte.

Antonio Aiello

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