di Franco Vetere

Il termine “Ermetico” è mutuato dalla dottrina magico-misterica, sorta nell’antico Egitto in onore del mitico sacerdote Ermete Trismegisto, con caratteri di ancestrale pratica iniziatica, strettamente riservata ad uno sparuto gruppo elitario.
Di primo acchito la critica letteraria usa una chiave di lettura con negativi parametri, equiparando il nuovo modo di poetare come se fosse avvolto da una brumosa coltre di semantica oscurità, poco comprensibile per una chiara interpretazione. Per i Poeti ermetici, invece, il muoversi nel sentiero nebuloso di criptici versi diviene imprescindibile esigenza per entrare in un ritrovato alveo di novella realtà. Essi esaltano un diverso metodo letterario di far poesia, fermamente legato al problema esistenziale che estrapoli da quell’umanità un senso diverso di sopravvivere, sorpassando quei canoni ancora fermi ad ancestrali criteri mentali, di certo anacronistici.
In questo humus si forma la forte personalità di Salvatore Quasimodo, autore non propriamente amato dalla critica ma obiettivamente pervaso da forte amore per sua terra di Sicilia, il cui paesaggio è ancora impresso nella sua fanciullezza, vissuta nell’incanto ancora vivo di un’innocenza che lo lega alle cose di primo approccio con i sentimenti. Da ciò la musicalità che intride i suoi versi attraverso la fascinosa visitazione dei luoghi che viepiù fluiscono nella sua mente come un placido fiume che scorre con regolare cadenza.
La grecità classica, espressa nella poesia dei grandi Aedi, lo affascina e lo porta a vivere quei momenti che hanno connotato l’Ellenismo siculo attraverso lo splendido evo della loro presenza. L’evocazione del sogno ellenico suscita nel Poeta una struggente sensazione allorquando il suo canto poetico si sofferma sull’antica Tindari, la cui storica anima è ancora viva nella memoria di tutti, e che ancora veleggia sulle ali di una dolce brezza di zefiro, generata dalle sponde della madre Grecia. Così l’incipit di “VENTO a TINDARI”: Tindari, mite ti so fra larghi colli pensile sull’acque dell’isole dolci del Dio, oggi m’assali e ti chini in cuore. Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini….s’allontana nell’aria onda di suoni e amore…. 

La lirica tindarica rappresenta la base dell’Ermetismo che il Poeta eleva ai livelli più alti mediante una melodia di versi che si riversa direttamente nell’anima. Una ricerca del tempo e nel tempo che rievoca la “recherche du temp perd” di Marcel Proust, quale mezzo per stimolare la memoria a rivivere il proprio vissuto nella realtà del presente. A ciò si presta Tindari, luogo della sua giovinezza, pervaso da fascinoso ricordo, in armonioso connubio con la natura, e dove vive, incontaminata, la presenza di una civiltà, il cui lascito culturale sfida l’oblio del tempo. E qui che si fondono Mito e Poesia, sulla scia di una smarrita felicità che incide fortemente nell’essenza dell’anima alla riscoperta del valore dell’Io vitale.


BREVI NOTIZIE BIOGRAFICHE FRANCO VETERE
Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.
(Antonio Aiello