di Fiore Sansalone
La mietitura è uno dei momenti più attesi e cruciali dell’anno per le famiglie contadine. Da essa dipende il sostentamento di intere generazioni, e per questo ogni gesto, ogni preparativo, è carico di attenzione e devozione. Un solo errore, una piccola distrazione, può vanificare mesi di fatica e sacrificio. Per questo, la mietitura non è solo un lavoro, ma un rito che unisce fatica, fede e tradizione.
Riporto, di seguito, un’antica preghiera suggeritami da un’anziana signora di Lago:
Sta jurnata, Signure, ti l’offru ccu lu cori,
tra ‘na favuce e ‘na cruci me portu l’amori.
E si ‘u pani criscia puru ppe li vicini,
sarà meritu Tua e d’i santi divini.
(Questo giorno, Signore, te lo offro col cuore,
tra una falce e una croce porto l’amore.
E se il pane cresce anche per i vicini,
sarà merito tuo e dei santi divini)
Nelle campagne del Savuto, tra i campi assolati di Rogliano, Marzi, Mangone, Cellara, Belsito, Malito e Grimaldi, queste usanze si respirano ancora nell’aria, nelle mani degli anziani, nei racconti delle “ziane” che custodiscono con orgoglio la memoria di un mondo rurale antico. Qui, la mietitura non si limita al gesto del falciare, ma diventa cerimonia collettiva, intreccio di gesti antichi e parole sacre.
Francesco Antonio Angarano, studioso delle tradizioni calabresi, racconta che il 3 maggio si credeva che la Madonna scendesse nei campi a benedire le messi. Il grano, crescendo, si inchinava prima verso il cielo in segno di gratitudine a Dio, e poi verso la terra in omaggio alla Vergine. Ma questo periodo, così sacro, era anche temuto: si diceva che le “magare” (streghe) vagassero tra i filari per portare il malocchio. Per difendersi, i contadini inserivano tra le spighe pezzi di ferro o antichi attrezzi, trasformati in talismani contro il male.
La mietitura veniva vissuta come una liberazione collettiva, un momento di gioia mista a sollievo. Le famiglie contadine si riunivano nei campi tra canti religiosi e preghiere, affidandosi alla protezione divina. In alcuni paesi calabresi, il 2 luglio, festa della Madonna delle Grazie, la statua della Vergine veniva portata in processione tra i campi. Le donne, a piedi scalzi, deponendo fasci di grano ai piedi della Madonna, recitavano il rosario, affidando a Lei le speranze per l’inverno.
Non mancavano i riti propiziatori per prevedere l’annata agricola. Angarano ricorda un'usanza viva nei villaggi di collina: si legava un fiorellino bianco, detto “’u hiuri di la fortuna”, a una croce di canne al centro del campo. Se il fiore restava vivo, il raccolto sarebbe stato generoso; se appassiva, la carestia era certa. In quel caso, si levavano i lamenti:
“Chi disgrazia chi è venuta st’anno alla casa mia! Chi sfurtuna, Madonna mia!”.
Un raccolto scarso era la condanna a mesi di stenti. Il pane, alimento sacro e quotidiano, diventava miraggio.
Anche il cielo aveva voce. Le piogge di giugno erano temute o attese come presagi. Un proverbio ammoniva:
“L’acqua de giugnu vruscia lu munnu” – l’acqua di giugno brucia il mondo.
Troppa pioggia poteva distruggere grano, olive e la vendemmia. Ma due piogge buone a giugno erano auspicio di abbondanza:
“Ad aprile chiova, chiova; a maju chiova e cessa; a giugnu due bone mo s’apparanu ‘e messe.”
Particolare timore suscitavano le piogge della festa di Sant’Antonio, a metà giugno. Nel Savuto si parlava dell’“acqua sant’antonina”, che minacciava l’intero raccolto:
“L’acqua sant’antonina caccia l’ogliu, ‘u pane e lu vinu”.
La mietitura, nei paesi del Savuto, non è solo un atto agricolo, ma un momento che racchiude la storia, la fede e l’identità di un popolo. Attraverso canti, riti, proverbi e silenzi pieni di attesa, i contadini hanno cercato per secoli di comprendere e placare l’imprevedibilità della natura. Oggi, in un mondo dove tutto accelera, queste tradizioni ci ricordano quanto sia essenziale il rispetto per la terra e la gratitudine per i suoi doni. Sono un ponte tra passato e presente, un’eredità che sopravvive nei paesi del Savuto, dove la memoria ha ancora radici profonde nella terra e nei cuori.
Nella foto: mietitura a Colosimi