È di questi giorni la notizia di un’indagine giudiziaria su come vengono eseguite le pulizie all’ospedale di Cosenza. Quattro dirigenti della ditta che dal 2012 si è aggiudicata l’appalto per le pulizie all’ospedale sono finiti agli arresti domiciliari, accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Cinque dipendenti dell’Azienda Ospedaliera sono indagati perché non hanno controllato se le pulizie venivano effettivamente fatte. È anche emerso che nel corso degli anni i primari dei reparti si erano lamentati per l’inadeguatezza delle pulizie.
Cogliamo l’occasione per ripubblicare l’articolo che segue, già pubblicato su “La Voce del Savuto” n. 1 del 6 febbraio 2018.

Le scale del Pentagono

Oggi vi voglio raccontare di una vicenda americana, che dimostra come tutto il mondo è paese.
Le stesse cose succedono in tute le parti del mondo. Il problema sta nel diverso approccio e nei diversi metodi che si usano per porvi rimedio.
E' una vicenda accaduta in America negli anni 1960-1970. Ci fu un ministro della difesa degli Stati Uniti d'America a cui il medico aveva prescritto di fare più moto. Così egli decise di non prendere l'ascensore ma di fare a piedi le scale del Pentagono quando andava a lavorare. Gli Americani chiamano "Pentagono" l'edificio di forma pentagonale che ospita il Dipartimento della Difesa.
Fu così che il ministro scoprì quanto erano sporche le scale del Pentagono.
Fece cadere qualche testa, e le scale del Pentagono ritornarono pulite.
Probabilmente era accaduto che l'azienda incaricata delle pulizie, avendo notato che nessuno usava le scale, aveva deciso di non pulirle, intascandosi comunque il compenso.
Se questo episodio è successo nel posto più protetto e sorvegliato del mondo, può succedere in qualunque altro posto, anche in Italia.
E così abbiamo gli ospedali sporchi, gli uffici pubblici sporchi, i quartieri dove nessuno va a ritirare i rifiuti, le immondizie ai bordi delle strade, e (sempre in tema di strade) le canne e altra vegetazione spontanea che dai bordi della strada arrivano fino a metà corsia, ostacolando il transito dei veicoli, ecc., ecc.
E questo succede perhè nessuno controlla.
Lo Stato paga ad occhi chiusi, senza verificare se i lavori sono stati fatti effettivamente, e come sono stati fatti

Salvatore Cutellé
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Oggi vi voglio parlare ancora una volta dei danni che provoca la burocrazia italiana. Si dirà che la burocrazia è burocrazia in tutto il mondo, formata da gente che sta rintanata negli uffici e non sa che cosa succede all’esterno, ma in Italia abbiamo una burocrazia molto più “creativa”, sia nel far andare a male le cose che non funzionano, sia nel creare sempre nuovi modi per distruggere quello che funziona. Citerò un esempio di burocrazia estera, americana, anche se si tratta di un film. In uno degli episodi della serie televisiva poliziesca “Tenente Colombo”, il protagonista viene richiamato dai suoi superiori perché non si fa vedere in ufficio. Il tenente Colombo risponde: “Faccio parte della squadra omicidi, e gli omicidi difficilmente avvengono in ufficio”. Ecco invece un episodio di burocrazia “reale” italiana: il comandante italiano di sommergibili che nella seconda guerra mondiale aveva affondato il maggior numero di navi nemiche venne richiamato dai burocrati del ministero della Marina perché consumava troppi siluri.
Torniamo alla situazione italiana attuale. Abbiamo una vecchia automobile guasta che il proprietario ormai non usa più e che ha abbandonato nel giardino di casa.
Poco a poco della macchina abbandonata se ne erano accorte le galline, che prima hanno cominciato a visitarla, e poi se ne sono impossessate facendone la propria casa.
In famiglia se ne erano accorti, ma hanno lasciato fare, tanto che ormai, quando si riferivano a quella macchina la chiamavano la “macchina delle galline”.
Se non che cominciano ad arrivare per posta delle multe per quella macchina. Ogni tanto arrivava una nuova multa, e dicevano “Le galline sono uscite di nuovo in macchina ed hanno preso un’altra multa”.
Alla fine si scopre che quelle multe erano per una moto che aveva lo stesso numero di targa di quella macchina. Evidentemente chi si occupava della pratica aveva “dimenticato” di dire che si trattava di una motocicletta e non di un’automobile.
Salvatore Cutellé
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Oggi vi voglio parlare di ciò che ad alcuni sembra bello e ad altri sembra brutto e viceversa. Dei modi diversi di vedere le cose.
Vi riporto (per come me lo ricordo) un racconto sentito alla radio molti anni fa. Come vi avevo già detto in un altro articolo, la radio, al contrario della televisione, non si vede, perciò costringe ad immaginarsi i fatti di cui si narra, ad usare la fantasia, e per questo aspetto forse è meglio della televisione.
Era una notte buia e tempestosa, e un viaggiatore inglese in Italia chiede di un posto dove potersi rifugiare. Gli viene indicata la casa del parroco.
Bussa ed il parroco è lieto di accoglierlo. Cenano, e dopo vanno a chiacchierare vicino al caminetto. Ad un certo punto il parroco dice di non essere originario di quel paese, ma di essere originario di Verona.
“Verona!” dice il viaggiatore “il paese di Giulietta”. Il parroco si meraviglia del fatto che uno straniero conosca la vicenda di Giulietta.
Allora il viaggiatore narra di come lo scrittore inglese William Shakespeare avesse scritto una tragedia sulla storia di Giulietta e Romeo. Una tragedia molto famosa in Inghilterra. E inizia a raccontare la trama della tragedia, di come i due giovani, figli di famiglie nemiche, si siano incontrati e innamorati, delle vicissitudini che alla fine portarono al suicidio dei due innamorati.
Ascoltata la storia il parroco dice “Ma no, non andò così. Dopo che quello scapestrato di Romeo fuggì da Verona, Giulietta sposò quel bravo giovane del conte Paride a cui era stata promessa, ebbero molti figlioli e vissero a lungo felici. E’ questa la vera storia.”
Il viaggiatore rimane sorpreso e poi dice: “Però è più bella la mia storia”.
“Perché è più bella?” ribatte il parroco, “nella storia del vostro Shakespeare alla fine muoiono tutti”. 

Salvatore Cutellé_
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In questi tempi di epidemia da coronavirus ci sono due argomenti che ricorrono spesso nelle discussioni e nella stampa.
Il primo è la burocrazia. Tutti i politici, i commentatori, gli opinionisti, ripetono continuamente che la burocrazia è la causa di molti problemi. Dagli ospedali che non funzionano, alle banche che ritardano nell’erogare i finanziamenti, agli ostacoli posti all’importazione di mascherine sanitarie, agli ospedali incompiuti. Insomma la burocrazia è la principale causa di tutti i mali, e tutti sono concordi nel chiedere “meno burocrazia”.
Il secondo riguarda i meriti dell’Italia. Gli Italiani sono stati il motore della civiltà, hanno inventato le strade, le banche, le leggi, gli acquedotti. Senza tralasciare i primati in vari campi, tra cui l’arte, il cibo, la musica.
Allora una domanda sorge spontanea: Se l’Italia ha tutti questi primati, perché non siamo i migliori? Quelli che stanno meglio?
Per spiegare questo mistero ripubblichiamo di seguito questo articolo già pubblicato su “La Voce del Savuto” di settembre 2001 che ironicamente spiega la situazione.
 
Oggi vi voglio raccontare una parabola sull’origine di un fenomeno che interessa tutti noi, e che è la causa prima di buona parte dei nostri mali.
Quando il Buon Dio creò il mondo decise di dare pari opportunità a tutti. A tutti gli uomini e a tutte le Nazioni, in modo che nessuno prevalesse sugli altri, dopo di che, fiducioso negli effetti della sua opera si disinteressò di questo aspetto, essendo anche occupato in altre faccende.
Però, dopo alcuni millenni, si accorse che qualcosa non andava secondo i suoi piani. In Italia si erano verificate delle circostanze che, a meno di un intervento divino, avrebbero portato quel popolo a prevalere su tutti gli altri. Sia per il clima, e per le felici e varie condizioni geografiche, che per il fortunato combinarsi di eventi economici, storici e sociali.
Anche a causa del continuo aggiungersi alle già varie popolazioni originali di genti diverse: Greci, Galli, Fenici, Ebrei, Vandali, Unni, Goti, Longobardi, Arabi, Bizantini, Normanni, Franchi, Angioini, Aragonesi, Francesi, Spagnoli, ecc., ecc., si era creato un meraviglioso e ben amalgamato miscuglio di popoli, di esperienze, di tradizioni. Da ognuna di queste popolazioni era stato assorbito il meglio. E gli Italiani primeggiavano nell’arte, nella scienza, ed in tutte le attività umane.
Le altre popolazioni avrebbero potuto pensare che questo fosse stato il frutto di una particolare benevolenza di Dio verso un popolo particolare. Ed Egli, che era Giusto, non poteva permettere che si pensasse che avesse fatto delle preferenze.
Dio, nella sua infinita sapienza e giustizia, decise di trovare un rimedio per bloccare questa irresistibile spinta verso l’avanzamento dell’Italia, che l’avrebbe portata a prevalere eccessivamente sulle altre Nazioni. Dapprima pensò di ricorrere al Diluvio, come aveva già fatto con successo anni prima. Ma questo avrebbe coinvolto anche gli altri popoli, e Lui, nella sua infinita bontà, non poteva permetterlo. Pensò di confondere le lingue, come aveva fatto a Babilonia, ma i già esistenti vari ed eterogenei dialetti italiani dimostravano che la varietà di lingue era una ricchezza e non uno svantaggio. Poi pensò di ricorrere alle dieci piaghe con cui aveva sconvolto l’Egitto. Ma dovette rinunciare perché gli Italiani avevano raggiunto tali capacità che, dopo un primo momento di sbandamento, le avrebbero facilmente superate, e nelle difficoltà avrebbero trovato la forza per risorgere più forti e più grandi di prima.
Ci voleva qualcosa di nuovo, un’undicesima piaga, che, oltre a provocare un sicuro danno immediato, esplicasse i suoi effetti malefici anche nel tempo, e che fosse capace di autoreplicarsi e provocare danni sempre maggiori. Qualcosa che agisse in modo morbido ed impalpabile, senza causare resistenza, che fosse in grado di alternare apparenti piccoli cedimenti ad effettivi grandi avanzamenti, fino ad occupare tutto lo spazio disponibile. Che agisse come un parassita che succhia il sangue della sua vittima senza ucciderla, ma rendendola fiacca ed incapace di reagire.
Anche per Lui, che tutto sa e tutto può, non fu facile, ma alla fine, dopo lunga e sofferta riflessione trovò la soluzione: e Dio inventò la burocrazia

Oggi vi voglio parlare dello sciocchezzaio anglosassofono che, come al solito, ci sta invadendo anche ai tempi del coronavirus (anzi, coronavairus).
Gli pseudo-giornalai della televisione e anche alcuni della carta stampata, massacratori della lingua italiana, hanno iniziato con la parola loccdaun (si scrive lockdown e significa confinamento, isolamento) per indicare la necessità di restare in casa per limitare la diffusione dell’epidemia. Hanno continuato diffondendo parole come: claster, ranner, raider, smart guorching, burden microbico, guelfare, selfi, di cui la maggior parte degli italiani non conosce il significato.
Insistono nel chiamare i presidenti delle regioni italiane "governatori" e ci fanno sapere che la Lombardia ha un assessore al guelfare.
Anche con il lavoro da casa si sono sbizzarriti. C'è chi dice "lavoro agile" in italiano per evitare l'obbrobrio anglosassofono "smart guorching". Ma allora perché non dire correttamente in italiano "lavoro a distanza", o "lavoro da casa" o "telelavoro"?
Meno grave, ma ugualmente ingiustificata, è questa abitudine di utilizzare traduzioni italiane di modi di dire inglesi.
Poi c'è chi declina in italiano parole inglesi: crasciare per crollare, guglare per cercare in internet, customizzare per personalizzare, brandizzare per mettere il proprio marchio, mobbizzare per vessare.
Altre sciocchezze anglosassofone: tamponing, disinfetting, mascdaun, deddilaini, taschi forse, guorc sciop.
Già eravamo abituati ad altri obbrobri come feichi niù per indicare le notizie false, defolti per indicare il fallimento di un'azienda o di uno stato, coffi ause invece di bar.
Il programma informatico per telefonini "Immuni" che dovrebbe avvertire quando si è stati troppo vicini ad una persona contagiata è chiamato con la parola di origine inglese “app” che sta per applicativo, applicazione. Questa parola è ormai entrata nell’uso comune, per cui a qualche telegiornalaio è sembrata troppo banale, troppo comune, allora l’ha chiamato applichescion.
Con l'occasione i telegiornalai hanno anche smesso di chiamare nosocomi gli ospedali ed hanno cominciato a chiamarli hab e spoche.
A causa del virus sono state rinviate in autunno le elezioni amministrative e il referendum e si parla di farle in un solo giorno. Anche qui i telegiornalai sono subito partiti con lo sciocchezzaio anglosassofono riesumando l'elessciondei.
Chi ha a che fare con la scuola, sia come docente che come alunno, ha dovuto attivare la didattica a distanza. Anche qui i vari programmi informatici per la didattica a distanza sono stati infarciti a sproposito di parole inglesi. Anche se il significato della parola si intuisce, perché chiamare la lezione "lesson"?
Questi siti internet che sono dedicati al mondo della scuola dovrebbero essere più sensibili alle esigenze della “semplificazione comunicativa”, invece sembra che si dedichino assiduamente alla “complicazione comunicativa”.
Come i barbari distrussero la civiltà romana scendendo dalle Alpi, questi nuovi barbari stanno assassinando la lingua italiana affacciandosi nelle nostre case dallo schermo televisivo. Loro, usando un inglese forzato, credono di essere più bravi, più alla moda, più esotici, più snob, ma più semplicemente cercano di nascondere il loro complesso d’inferiorità. Mi capita a volte di guardare sia il telegiornale nazionale che quello regionale. Lo steso fatto nel telegiornale nazionale viene descritto utilizzando parole italiane e in quello regionale prole inglesi.
Come difenderci da questi nuovi barbari? Noi abbiamo un’arma potentissima e inutilizzata: il telecomando dalla televisione. Appena sentiamo un telegiornalaio usare una parola inglese prendiamo il telecomando e cambiamo canale.
Chi vuole approfondire l’argomento può consultare questo sito internet:
https://diciamoloinitaliano.wordpress.com/category/parole-inglesi-nellitaliano/

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Oggi vi voglio parlare della cosiddetta autonomia differenziata, o secessione dei ricchi, che sta molto a cuore all’ex vicepresidente del Consiglio dei ministri ed ex ministro dell'interno Matteo Salvini e alla Lega Nord (anche se ufficialmente hanno tolto dal loro nome la parola Nord). Nel caso questa riforma vada in porto, mi sono chiesto: i cittadini del nord, nel momento in cui sono contenti perché hanno più servizi di prima, si rendono conto che in contemporanea vengono tolti servizi ai cittadini del sud? Se avranno un ospedale con posti letto in esubero si rendono conto che contemporaneamente al sud ci sono ospedali che devono mandare indietro i pazienti per mancanza di posti? Mi è venuta in mente una commedia musicale di qualche anno fa. Quelli di voi che hanno qualche capello grigio ricorderanno la commedia musicale televisiva del 1974 “Un mandarino per Teo” con Gino Bramieri. Quelli di voi che hanno qualche capello bianco ricorderanno anche il film musicale “Un mandarino per Teo” del 1960. In poche parole la trama è questa (per come me la ricordo): un personaggio che poi risulterà essere il diavolo, propone a Teo di ricevere in eredità un miliardo di lire; se Teo premerà un pulsante, in Cina morirà un anziano mandarino, lasciandolo erede di un miliardo. Il tutto senza pericolo di essere scoperto. I Mandarini erano funzionari dell’impero cinese di origine feudale. Il termine era utilizzato per indicare una persona privilegiata che si comporta in modo autoritario ed abusa delle sue funzioni pubbliche. Sigmund Freud nei libri "Il disagio nella civiltà" e "Considerazioni attuali sulla guerra e la morte" cita il dilemma del mandarino cinese. Anche lo scrittore francese Honoré de Balzac (1799–1850) cita, nel suo romanzo “Papà Goriot”, l'“Apologo del mandarino cinese”, di cui aveva già parlato François-René de Chateaubriand nel “Genio del Cristianesimo”. Nella commedia Teo inizialmente accetta e riceve due milioni di lire come anticipo dell’eredità. Poi Teo ha dei rimorsi e si pente. Ma il diavolo pretende di riavere indietro i milioni che ha anticipato. Soldi che Teo ha già speso. Allora Teo si rivolge agli amici che gli prestano i soldi da restituire al diavolo. E il mandarino cinese è salvo. Il concetto è questo: più le conseguenze delle nostre azioni sono lontane da noi, e meno ce ne sentiamo responsabili. Che ti importa se nella lontana Cina muore un anziano mandarino che non conosci? L’importante è che erediti il miliardo. Cosa importa se, con le armi fabbricate in Italia, delle tribù si fanno la guerra e compiono stragi nella lontana Africa? Che ti importa se con le armi italiane la Turchia attacca i Curdi? L’importante è che le fabbriche guadagnino, che gli operai lavorino. Che ti importa se nei campi di detenzione in Libia vengono tenuti prigionieri migranti che vengono violentati torturati e uccisi? L’importante è che vengano tenuti in Libia. Lontano dall’Italia. E’ questo che Matteo (Salvini) propone agli elettori del Nord con la cosiddetta “autonomia differenziata”, per prendere i loro voti. Togliere finanziamenti al sud per darli al nord. I cittadini del nord cadranno nella trappola? Tu cittadino del nord devi essere contento perché avrai più servizi e dovrai votare per Salvini. Che ti importa se al sud non si potranno finanziare asili nido per i bambini terroni?

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