L’elemento naturale e minerale caratterizza, fin dai primordi, la storia di Cleto, connotando i siti sui quali varie civiltà e popolazioni si sono insediate, sviluppate e susseguite, finendo per influenzarne le stesse attività.
Gli stanziamenti umani nel territorio di Cleto sono piuttosto risalenti. Tracce notevoli di insediamenti sono state rilevate nelle località di Pantano e Marina di Savuto. Nella zona è, quindi, attestata una continuità di frequentazione già dal Bronzo medio. Il territorio in questione, scrive Armando Orlando, «posto tra la foce dei fiumi Savuto e Oliva, ricco di approdi, percorsi fluviali, pianure coltivabili e difese naturali», si è rivelato «adatto all’insediamento umano fin dall’antichità più remota». L’area, infatti, «diventa punto strategico per il controllo delle vie di passaggio e per lo sfruttamento di risorse minerarie».
La documentazione e la repertazione archeologica dimostrano come l’area di Cleto contribuisca «alla cultura materiale diffusa in Calabria durante la prima Età del Ferro». Il territorio di Cleto, quindi, si configura come un rilevante ambito archeologico, situata in una fascia geografica della Calabria connotata da nuclei sparsi orbitanti tra le attuali Amantea, Nocera Terinese e Serra d’Aiello, a cavallo delle province di Cosenza e Catanzaro.
Un territorio che, in età magnogreca, manifesta attivismo relazionale, culturale e produttivo, contribuendo decisamente al dinamismo della Calabria tirrenica, nonostante il protagonismo delle città prossime di Temesa e Terina. I rapporti e le frequentazioni, infatti, si spingono oltre la costa tirrenica e l’entroterra più prossimo, sfiorando persino il versante ionico. Quest’ultimo è raggiunto attraverso la direttrice fluviale del Savuto, che consente di allacciare e mantenere le comunicazioni con la Sibaritide attraverso la valle del Crati.
A quella fase storica, è legato il mito fondativo di Cleto, una leggenda ricca di fascino e mistero orientata ad edificare ed accreditare l’identità greca della comunità. Le fonti mitografiche fanno riferimento al popolo guerriero delle Amazzoni. In particolare, l’amazzone Cleta, dopo la fuga da Troia della regina Pentesilea, di cui era nutrice, si mette in mare per raggiungerla. Durante la navigazione, venti contrari la sospingono sulle coste della Calabria, dove fonda una città a cui impone il suo nome e sulla quale installa una lunga dominazione. Oltre a dare il nome alla città, Cleta stabilisce un regime ginecocratico: le future regine porteranno il suo stesso titolo e nome e la città dovrà essere governata da un consiglio di sole donne. Le fonti sono rare ed attestano, nel 534 a.C., l’alleanza di Cleta con Temesa; la stessa è assediata dai Crotonesi. Dopo di che, le tracce di Cleta si diradano e progressivamente si eclissa.
Una città scomparsa cui è, tuttavia, legata non solo la toponomastica ma l’identità stessa dell’attuale Cleto. È arduo stabilire se, nella Calabria successiva alla caduta di Roma ed occupata da barbari e forze straniere (Longobardi, Bizantini, Musulmani), le terre di Cleto siano state abitate da genti sparse o da popolazioni stanziali. In ogni caso, il sito, che si costituisce su una rocca impenetrabile e sul versante di una rupe scoscesa, ricco di grotte naturali ed attraversato da corsi d’acqua, suggerisce una continuità di frequentazioni. Si potrebbe ipotizzare una nuova primavera cletese in epoca bizantina, caratterizzata dalla probabile presenza di un castrum ossia di una fortezza: ciò alla luce della «efficace gestione agricola del territorio, incentrata essenzialmente sulla produzione cerealicola e documentata dalla presenza di unità abitative rupestri, grotte, cisterne, silos e residui di un percorso viario in pietra». L’area necessitava, infatti, di un nucleo difensivo, apparendo, al tempo, come una riserva cerealicola, un “immenso granaio”. Non a caso, di silos e cisterne per la conservazioni di materie prime e prodotti agroalimentari, è ricco lo stesso castello. Un castello che testimonia la fase medievale dell’abitato cletese. Con l’avvento dei Normanni nell’XI secolo, la Calabria è oggetto di un attento piano strategico. Si edificano imponenti opere di difesa, all’interno delle quali si radunano “armati e popolo”. Il castello risponde ad una precisa logica militare e di difesa del territorio: è innalzato a presidio delle principali arterie di comunicazione oppure a tutela di nuclei abitati. Le indagini eseguite sul fortilizio cletese paiono indicare diverse fasi di edificazione della struttura, che segue le condizioni del terreno. Ciò è sintomatico della millenaria influenza, del condizionamento e dell’adattamento dell’uomo all’elemento roccioso. Lo stesso dicasi per il castello di Savuto, oggi nel comune di Cleto, costruito dagli Angioini sulla sponda settentrionale del fiume omonimo, posto a guardia delle vie di comunicazione che dal mare risalgono verso l’interno.
Quanto al profilo religioso, terminata in Italia la dominazione bizantina, i Normanni avviano una decisa e capillare azione di latinizzazione del territorio. Le chiese sono restituite al rito latino. Cosicché la diocesi di Amantea, sede episcopale vacante, nel 1094 è subordinata «alla santa chiesa Tropeana della Beata Maria e al primo Vescovo latino di nome Iustego», assumendo il titolo di “Dioecesis Inferior”. Identico destino tocca al territorio cletese, collocato sotto la giurisdizione vescovile amanteana, che si lega alla chiesa tropeana per ben nove secoli.
Cleto risorge vistosamente nella prima metà del XIII secolo, durante il regno svevo di Federico II, l’imperatore che stupì e cambiò il mondo ed attribuì un nome nuovo al paese: Petramala. probabilmente derivato dalla particolare conformazione geologica del luogo. La pietra, dunque, è talmente importante da determinare non solo la denominazione dell’area ma addirittura il cognome della famiglia feudale. E sotto il nome di Petramala, la città conquista un posto di rilievo fra i centri della costa tirrenica. Un ruolo rilevabile nei Registri Angioini del 1276 e che manterrà nei secoli a venire.



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