Mi succede spesso, ora che il tempo sembra passare più rapidamente, di ritornare con la mente al mio paese e alla mia infanzia.
Come era diverso Dipignano in quella prima metà degli anni ‘50 e quanto fascino suscitava in me la tradizione di quell'artigianato del rame, che sopravviveva nei suoi ultimi rappresentanti, gli stagnini, i quali ancora giravano, di paese in paese, a riparare o a rinnovare paioli, catini, tegami, caccavi di rame, mentre ormai all'orizzonte si affacciava il sopravvento dell'alluminio prima e, quindi, della plastica.
Di lì a poco, i miei amici stagnini, salvo qualcuno che sarebbe passato a lavorare la latta, avrebbero abbandonato il proprio “antico” mestiere per imboccare, alcuni, la via del Lussemburgo, del Belgio e della Germania e altri quella delle Americhe, già da tanti affrontata nei primi anni del XX secolo, se non addirittura anche qualche decennio prima.
Eppure, l'artigianato del rame era stato un tempo un'attività fondamentale per Dipignano, per la sua popolazione e per la sua economia. Un'attività radicata profondamente nella tradizione del paese, definito addirittura “il paese dal cielo di rame”; un'attività che ha radici antichissime ed una storia ricca ed interessante, una storia in parte ancora da recuperare e da ricostruire. Quanto fascino e quanta saggezza nella storia, nella vita e nelle tradizioni dei calderai e dell'attività del rame. Una storia, una vita e delle tradizioni che affondano i propri passi in un passato molto lontano e che oggi rivivono in quella dimensione di tempo senza tempo, che è la memoria.
Ebbene, come e quando sono cominciate questa storia e questa attività, per Dipignano e per i dipignanesi? Le origini dell'artigianato del rame, a Dipignano, sono oscure, ma vanno senz'altro collocate molto indietro nel tempo.
Secondo Oreste Dito sarebbero stati gli Ebrei a portare questa forma d'artigianato a Dipignano. “Esso non è ricordato – egli scrive – come centro giudaico; ma, posto tra Paterno e Cosenza, è molto probabile che lo fosse stato, se si consideri che soltanto i Giudei potevano importare e conservare un'arte che fu una vera specialità per quel Casale. Anche nei nostri tempi – così continua il Dito – i calderai di Dipignano girano di paese in paese esercitando il loro mestiere; ciò che pure era un'altra caratteristica degli Ebrei” (1).
Se ciò fosse vero, l'attività del rame dovrebbe essere stata avviata in paese quando, per sfuggire ai Saraceni (975- 977), moltissimi cosentini, fra i quali c'erano degli Ebrei, lasciarono la città e ripararono in collina, nei vari casali. È un'ipotesi, ma a dire il vero, nella storia e nella tradizione di Dipignano non sembrano presenti tracce di un eventuale, anche solo temporaneo, insediamento ebraico. Interessante appare l'ipotesi di Pericle Maone (2) il quale, in un proprio lavoro sui calderai di Dipignano, fa leva sulle caratteristiche pastorizie di Dipignano per affermare che ciò lascia intendere una presenza artigianale locale subordinata, appunto, alle esigenze della pastorizia. Ed è al Maone che si deve l'idea d'una forma artigianale, giunta con tutti i propri principi tecnici dall'antica città di Temesa, dove appunto si lavorava il rame. “Potrebbe darsi – dice il Maone – che qualche nucleo di quegli antichi artigiani, risalendo la via Popilia, la quale attraverso la Valle del Savuto portava a Cosenza, abbia fissato nuova dimora nei pressi di questa città, trasmettendo ai posteri la sua particolare abilità nel trattare il rame” (3).
Anche questa è una ipotesi, ma è bene partire dall'idea e dall'ipotesi di P. Maone “per affermare che l'attività calderaia nacque in Dipignano per soddisfare le esigenze della pastorizia dipignanese e le richieste di vasi e caccavi per il latte ed il formaggio, prodotti dai contadini nel Casale” (4).
Ipotesi a parte, resta tuttavia il fatto che le origini di questa forma artigianale sono da porre in un passato molto lontano. Eppure, di questo illustre e interessante artigianato, oggi, rimane solo la memoria, unitamente ad antichi oggetti di rame e ad un gergo, l'ammasc-cante, inventato ed usato esclusivamente dai calderai di Dipignano.
In passato, l'artigianato del rame ha avuto momenti di grande splendore e di grande peso nell'economia delle famiglie del paese. Tutto, in fondo, dipendeva dalle entrate della lavorazione del rame e tutto era legato al danaro che mettevano in circolazione calderai e ramai, i quali ebbero il proprio periodo più florido nel corso del XVIII secolo.
“Le cose – ho avuto modo di scrivere molti anni fa – andavano veramente bene. Le famiglie calderaie vivevano sparse nelle varie frazioni … conducendo una vita abbastanza comoda, per quei tempi. I più grossi mastri ramari della prima metà del secolo furono Bernardo Serra e Francesco Marino. Il fatto che entrambi avessero precettori per i figli, è indice del benessere raggiunto dal paese” (5).
A dire il vero, già parecchio tempo prima, qualche famiglia calderaia si era preoccupata degli studi dei propri figli ed aveva cercato di tentare il passaggio alle cosiddette professioni “nobili”. Lo attesta un documento citato da O. Dito (6), un documento col quale “si dava licenza a certa donna Cusina, figlia di Filippo di Pastino, calderaio di Dipignano, di esplicare in Cosenza la professione di chirurgia” (7). Nell'Ottocento, l'artigianato cominciò gradualmente a rivelare i primi segni di crisi. A metà secolo, un certo Antonio Mele aveva provato ad aprire, nel punto in cui inizia la salita che da Cosenza conduce a Laurignano (forse la zona chiamata oggi “Molino Irto”), una fabbrica in cui “si batteva e si fondeva il rame”. La vita dell'azienda, però, fu breve, solo quattro anni. Continuavano ad operare, in Dipignano, anche se ancora per poco, solo le Fonderie di via Capocasale, dove si lavoravano preziosi prodotti ed ottime campane. E restavano altresì qualche bottega ed uno stuolo di calderai e di stagnini che continuavano ad andare in giro per i paesi della provincia cosentina.
Agli inizi del XX secolo, crisi ed emigrazione, tuttavia, la fecero da padroni e lentamente l'artigianato del rame imboccò il viale del tramonto. Sopravvivevano, come ultimi rappresentanti d'un artigianato “millenario”, qualche calderaio ed alcuni stagnini.
Torna grato ricordare, fra i calderai, mastro Vittorio Fiorino, artigiano ed artista del rame, bravissimo nel lavorarlo anche secondo le linee e lo stile della scultura e secondo la tecnica dello sbalzo. Presto anche l'ultima generazione avrebbe lasciato ed avrebbe attaccato i “ferri del mestiere” al classico chiodo.
Il successo dell'alluminio e l'affermazione della plastica, unitamente ad un insieme di eventi economici e storici che di certo non favorirono l'artigianato del rame e non aiutarono, ammesso che qualcuno volesse ancora provarci, la trasformazione dell'artigianato del rame in una moderna attività industriale o aziendale.
Oggi, l'artigianato del rame ed il mondo dei ramai sono solo un ricordo, bello ed interessante, ma solo un ricordo cui torno volentieri con la mente e, talora, con la fantasia, magari ripercorrendo quegli antichi luoghi delle botteghe calderaie in cui si sono temprati ed hanno lavorato a lungo i miei antenati. A quei luoghi torno, spesso, come ad un mondo e ad un passato smarriti nel tempo, ma vivi nel cuore; a quel mondo e a quel passato sono ritornato e ritorno, oggi, con queste pagine, come ad un patrimonio che non c'è più, ma che mi appartiene ancora.
 
NOTE
•Cfr. O. Dito, La Storia Calabrese e la dimora degli Ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI (Nuovo contributo per la storia della Questione Meridionale) Ed. Cappelli 1916, p. 127, citato anche in E. M. Gallo, Gli Ultimi Calderai (Storia e leggenda dell'artigianato dipignanese), Tip. Mario Tocci Cosenza s.d., p. 14.
•Cfr. P. Maone, I Calderai di Dipignano, Ed. Casa del Libro, dott. Gustavo Brenner Cosenza 1963, pp. 27- 28 citato anche in E. M. Gallo, op. cit. pp. 15- 16.
•Cfr. P. Maone, op. cit. p. 29, citato anche in E. M. Gallo, op. cit. p. 16.
•Cfr. E. M. Gallo, op. cit. p. 17.
•Cfr. E. M. Gallo, op. cit. pp. 37- 38.
•Cfr. O. Dito, op. cit. p. 202.
•Cfr. E. M. Gallo, op. cit. p. 21.
BIBLIOGRAFIA
•O. Dito, La Storia Calabrese e la dimora degli Ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI (Nuovo contributo per la storia della Questione Meridionale) Ed. Cappelli 1916.
•E. M. Gallo Gli Ultimi Calderai (Storia e leggenda dell'artigianato dipignanese), Tip. Mario Tocci Cosenza s.d.
•P. Maone, I Calderai di Dipignano, Ed. Casa del Libro, dott. Gustavo Brenner Cosenza 1963. 
 


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