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Prosa poetica a cura di FRANCO VETERE

Cadenzati lustri percorrono la scia temporale fino all'immortale bisecolare traguardo dove l'inobliabile ricordo dell'Idillio leopardiano è ancora oggi temprato da vigoroso e sentito afflato poetico. Pur nella dolce essenza che anima la " pura Poesia " , quale simbolo di intellettuale sentimento, scevra da fallace erudizione ed evanescente retorica, non cela però' la profonda interiorità del Poeta di Recanati. Un velato misticismo, pregno di cosciente intuizione lo pervade di estatica meraviglia allorquando Egli s'immerge nel sacro Tempio della Natura. In Essa cerca la risposta al lacerante dubbio della sua doppia matrice nella lotta fra bene e male, rigenerando il suo desiderio di "Infinito" con accennato approccio a vaga religiosità.

Principio della Realtà è per il Poeta l'Infinito quale "Apeiron "di antica grecità filosofica, dove Filosofia e Teologia si fondono nell'innestare il concetto di "non definito" mercé l'immaginaria illusione che contrappone il Finito all'Infinito in un coacervo di interpretazioni che non squarciano la coltre uggiosa del dubbio, poiché l'Infinito è tramite per la conoscenza ma non il talismano per svelare l'arcano mistero che la avvinghia come catene dalle possenti maglie. 

Il "maggiore Idillio" leopardiano si coagula intorno a questa metafisica filosofia che supera la barriera della "siepe che tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude ", ovvero il "reale", che diviene inutile per il desiderio del Poeta di calarsi in un fantastico mondo dove "l'immaginario" emerge nell'equilibrio tra "infinito spaziale" e "infinito temporale".

Nello Zibaldone, grande diario dei suoi pensieri mette a nudo le pulsioni dell'anima, nel desiderio di restringere la sua osservazione a moderati limiti onde non trasfigurare le sensazioni immaginarie, ma rigenerare quel pensiero che dal reale si sposta all'irreale.

Il desiderio di Infinito converge verso "l'immaginazione che sottentra alla vista" ed "il fantastico che sottentra al reale", per cui l'Anima, scevra di barriere va errando in uno "spazio immaginario". Tale spazio è infinito ma anche indefinito, in cui si rafferma lo spasimo che affligge gli umani, rei di inettitudine e cupidigia. Il sentimento profuso nei versi idilliaci della Poesia trasuda di accorato empito e di spasmodica ansia di inseguire la felicità senza fobia della sventura e della morte. Il Poeta infonde la sua esistenziale vicenda in un fantastico sogno senza limiti di spazio e senza impedimenti per la vista, che trapassa la terrena realtà per volare laddove il Sole termina la sua quotidiana corsa per immergersi nel "mare dell'Infinito".

Infiniti sono gli ostacoli vitali che l'illusione non riesce a dominare, anche se può mitigarli attraverso un approccio al piacere, purché vissuto secondo quella Natura non ancora contaminata da nefasta civiltà, intrisa di razionalismo ma addolcita da antico retaggio e dalla leggiadra purezza dei fanciulli.

Il multiforme aspetto che per il Poeta assume la Natura, può compenetrarsi nei versi dell'Autore del presente saggio: "Il sacro Tempio della Natura cattura l'occhio umano che ne trapassa i limiti nella sua variegata pulcredo, profusa in un onirico scenario dove i contorni si perdono nel Tempo.

Creature della sua grandezza sono i simboli che si vestono di colori, ora sfumati da nebbiosa coltre ora vividi di intenso ammanto virescente. La Madre di ciò che esiste, intride per sua duplice veste amara linfa nelle già lacerate ferite dell'umano spirito, ma per cordiale suo moto può aspergerle di benefiico lenimento onde rimarginare i solchi scavati nella psiche".

L'idea del "Monismo naturalistico" s'immerge nell'alveo filosofico di Leopardi, che imprime sprazzi d'amore verso se stesso nella ricerca di una evanescente felicità, grazie anche alla complicità della Natura che viepiù aumenta la sua "vis poetica", trasudante desiderio d'amore e di sogno, ma anche d'Infinito. Nel rimpianto struggente di cosciente illusione per poter far vivere il suo corpo e la sua anima in un'eterea dimensione sgombra da morbi e da quei somatici limiti che sbarrano la strada al suo vissuto, insegue la brama di vana speranza, intrisa di cocente delusione,anche se il fascinoso miraggio della vita lo avvince pur nella contezza della sua caducità.

Nell'illusione di non schernire le pur fioche speranze di coniugare i primigeni ideali di Natura- Vita- Felicità, così scrive:" La Natura è vita. Ella è esistenza. Ella stessa ama la vita, e procura in tutti i modi la vita, e tende in ogni sua operazione alla vita, perciocch'Ella esiste e vive. Gli albori del pensiero leopardiano, intrisi di pessimismo che Egli definisce "storico" illuminano una sommessa fase illusoria, in cui "la vita secondo natura" potrebbe tentare un approccio alla felicità, fintanto che questa non assume l'immagine di irraggiungibile chimera. Allora la percezione della nullità di tutte le cose che svilisce i piaceri della vita, quale farmaco contro la sofferenza interiore tende verso un soprannaturale Infinito, di cui non si conoscono i limiti ma che termina con la fine della vita. Filosofia e psicologia si fondono nell' Io del Poeta, pervaso da conoscenze gnoseologiche e "sensiste" che Egli affida ad un accorato commento autografo nel suo "intimo Diario". Un mare di pensieri, il cui fine è la brama di un "infinito piacere", inonda la sua mente in un'illusoria speranza che naufraga nella percezione della nullità di tutte le cose.

La tendenza verso l'infinito stimola lo spirito ma non appaga l'esigenza della psiche, protesa al piacere, quale porta verso effimera e fallace felicità. Dice il Poeta recanatese: "Il piacere infinito che non si puo' trovare nella realtà si trova così nel vagheggiar cose immaginarie". Assorto in un'estatica contemplazione fuori dal tempo, Egli immagina "interminati spazi", intrisi di "sovrumani silenzi" in "profondissima quiete", che è ideale porto per un'unica gratificazione dell'anima e per la ricerca della conoscenza nell'infinito.

Ma, la visione dell'Infinito si restringe come extrema ratio di travalicare l'orizzonte spaziale, fingendo di uscire fuori dai limiti del sovrumano per creare quell'Infinito in cui far navigare il suo pensiero, proteso verso oniriche ed eteree immagini in una "vastità e molteplicità di sensazioni che dilettano l'animo".

Di contro, il piacere che ha provato da fanciullo viene ora svilito dal "reale" che offusca l'idea concreta di un edonismo, nutrito da fantastiche elucubrazioni.

Il coacervo di sensazioni si disperde nell'errare da in piacere ad un altro, senza assaporarne l'essenza di ciascuno, amalgamandosi però con un concetto infinito di piacere.

La filosofia leopardiana scava nell'interiorità conoscitiva, alla ricerca di una realtà fuori dalla mente da cui è generata, affinché le capacità intellettive possano travalicare i limiti di un assoluto infinito e dunque relativo, che assuma essenza di "indefinito".

Impressa nei versi dell'immortale Idillio è la visione delle sue sensazioni: "E come il vento odo stormir fra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando e .mi sovvienl l'eterno e le morte stagioni....... Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il maufragar m'è dolce in questo mare". 

 



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