La matricola 709 ben visibile sul petto, quasi come se fosse una medaglia, una lampada sempre accesa legata alla sua cintura, un caschetto con un piccolo lume, la camicia  e il pantalone del minatore, così  Urbano Ciacci accoglie la nostra troupe all'ingresso della miniera a Marcinelle, in Belgio. La sua  è una storia che vogliamo raccontare, una storia fatta di duro lavoro e soprattutto di emigrazione. Urbano, originario della provincia di Pesaro-Urbino,  è l’ultimo minatore in vita della miniera “Bois du Cazier” in Belgio. Nei suoi occhi è ancora oggi percepibile il triste ricordo di una drammatica pagina di storia  per il mondo intero: quella del disastro di Marcinelle, dell’otto agosto 1956. Ben 262 i minatori morti a oltre 1000 metri di profondità, ricordiamo che 136 erano italiani.  Ancora oggi, l’ultimo minatore in vita, continua ogni giorno a recarsi in questo luogo, per raccontare e non far precipitare nell’oscurità dell’oblio questa triste pagina di storia.

Grazie per questa intervista, posso chiederle cosa significa per lei Marcinelle?

In questo luogo ho lavorato dal 1954 ai primi anni ottanta, posso affermare che per me è  come una seconda nazione. Sia chiara una cosa: sono italiano e resterò sempre italiano. Ho deciso di fondare la mia vita in Belgio ma guai a chi  tocca la mia Italia ( si commuove ndr).

Con tanto orgoglio afferma di essere ancora oggi un minatore,  vuole parlarci di questo lavoro?

Fortunatamente lei ha avuto  la possibilità di vedere con i suoi occhi questo luogo. Personalmente ho lavorato per 27 anni nella  miniera di Marcinelle. Era veramente dura, sai dovevamo scendere a oltre 1000 metri di profondità tutte le mattine. Ha visto in che condizioni abbiamo  lavorato? Tanti abbandonavano dopo poche ore, oppure lavoravano un giorno su due, solo per rispettare il contratto di 5 anni, altrimenti sarebbero stati rispediti subito in Italia. Ricordate tutti che l’Italia doveva garantire 50.000 minatori solo per qualche sacchetto di carbone. Non dimenticate questa storia.

Durante questa visita ho  avuto modo di osservare che non lascia mai questa lampada ( nella foto), cosa significa per lei?

 Da 64 anni questa lampada  è legata alla mia cintura. Era una lampada particolare, veniva portata solo dagli ingegneri e dal capo turno. Vedi questa luce? È con me ancora oggi.

Ricorda bene l’otto agosto del 1956?

Come potrei dimenticare questa data? Osservate le 262 foto su questa parete, erano tutti minatori come me. Ogni giorno vengo a trovarli, li saluto uno per uno. Nella mia carriera ho scampato la morte per ben due volte, per me è stata Santa Barbara ( singhiozza e piange ndr). Vengo tutti i giorni in questo luogo perché lo devo  alle 262 vittime, lo devo ai miei amici. Devo trasmettere ancora il loro ricordo, li conoscevo tutti. Di mille minatori resto solo io, sono l’ultimo sopravvissuto. Voglio continuare a raccontare per non far cadere nell’oblio questa storia.

 Può descrivere la vita del minatore?

Dal 54 ho fatto tutti i turni in questa miniera. Ogni mattina prima di scendere sotto terra andavo dai miei figli per abbracciarli, loro mi chiedevano sempre il perché, e io rispondevo: non so se ci rivedremo stasera. Era questa la vita e il lavoro del minatore ( piange ndr). Permettimi di ringraziare il direttore del settimanale, per questa possibilità. Non dobbiamo dimenticare i minatori. Grazie ancora e buon lavoro. Dimenticavo, vorrei poi una copia del giornale ( sorride ndr). Viva i minatori e viva l’Italia.

Omar Falvo



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