Il professore Francesco Zinno è direttore U.O.C. Immunoematologia e medicina trasfusionale presso l'Ospedale civile dell'Annunziata di Cosenza, coordinatore del dipartimento Trasfusionale interaziendale, area nord Calabria.
Precedentemente docente presso l'Università di Roma Tor Vergata, e con attività al Bambin Gesù, con studi presso l’Università La Sapienza di Roma.
Esercita la sua professione a Cosenza da tre anni, originario della stessa città.

- Come nasce la nuova terapia di donazione del plasma da pazienti guariti di covid -19?
«Usare il plasma di donatori precedentemente infettati dalla sars cov-2 per curare la patologia da covid-19 è stato sperimentato con buoni risultati al San Matteo di Pavia, a questo filone di ricerca si sono unite diverse unità come Mantova e Lecco ed altre ancora, ma i numeri maggiori sono stati gestiti da Pavia e Mantova».


- Pratica innovativa o già usata per altre importanti patologie?
«È una innovazione su una pratica largamente usata. Raccolta fatta giornalmente da donatore abituale e volontario. L’utilizzo di anticorpi derivati da pazienti guariti è una procedura anch’essa abbastanza antica, per esempio è ciò che si fa con la profilassi antitetanica, se non è stato rinnovato il vaccino al riguardo della patologia. E a questo proposito sottolineo che non v’è contrapposizione alcuna tra vaccino ed immunoprofilassi».


- Qual è la differenza tra vaccino e immunoprofilassi?
«Il vaccino è come mettere la cintura di sicurezza in auto e prevenire dei danni in corso di incidente. L’immunoprofilassi è come colui che deve essere levato fuori dalle lamiere prima che l’auto prenda fuoco».
- Ma quanto è importante questa immunoprofilassi per gli ammalati da covid-19?
«Punto uno: si deve essere idonei alla donazione del sangue, all’interno del sangue del donatore devono essere presenti gli anticorpi in quantità adeguata da poter essere poi usata per ammalati covid-19. Punto secondo: altro aspetto è che questa terapia non può essere standardizzata. Quindi bisogna stare attenti alle informazioni date perché si deve trovare la verità su ciò che realmente rappresenta questa cura».


- Ma come avviene la lavorazione del plasma?
«Il plasma è dato a una industria in conto lavorazione, che viene finanziata dallo Stato. L’Industria manda il plasma lavorato agli ospedali in forma gratuita. Pertanto si comprende che è senza dubbio una grande risorsa, ma va considerata una terapia di emergenza, perché è questo che effettivamente rappresenta. In attesa che vi sia un vaccino e un farmaco standardizzato, magari anche ottenuto dal plasma».


- Quante sacche di plasma compatibile già possono essere usate?
«Si sta aspettando di fare la quantificazione delle immunoglobuline delle unità di plasma già a disposizione sul territorio».


- Allo stato attuale chi potrà essere curato con il plasma?
«Secondo il protocollo regionale della Calabria, che - attenzione - è differente da altri protocolli regionali, il paziente che può adire al plasma è il paziente critico, ma che non sia in questa situazione da più di dieci giorni. Fare quindi una ricognizione nazionale ci metterebbe nelle condizioni di capire la quantità a disposizione e di poter correggere il rischio, che già è minimo, infettivologico, perché l’industria fornitrice sarà in grado di estrarre solo le immunoglobuline. E che il costo beneficio sia opportuno».


- C’è differenza tra plasma e vaccino? Inoltre, sul fronte vaccino che prospettive ci sono?
«Il vaccino simula la malattia stimolando il sistema immunitario ed è un’immunoterapia attiva, come una foto da dare agli anticorpi da poter aiutarli ad individuare il virus, mentre il plasma è una immunoterapia passiva, un rinforzo degli anticorpi. In generale un vaccino sicuro nell’efficacia prevede molto tempo in anni di ricerca. Ma l’urgenza e il grande numero di laboratori e ricercatori al lavoro accorceranno i tempi di realizzo. Siamo di fronte a un virus influenzale che si modifica e ciò può dilatare i tempi, inoltre si diffonde in fretta e una volta trovato il vaccino ci potremmo trovare nella condizione di vaccinarci annualmente, perché ogni vaccino antiinfluenzale viene riadattato alla nuova condizione del virus».


- Quanti donatori su Cosenza?
«Dodici donatori (si tenga presente che l’intervista è stata realizzata qualche giorno fa, potrebbero essere in aumento). Ci sono stati donatori della valle del Savuto colpita maggiormente. Ma ci stanno contattando anche da fuori regione e da altre aree fortemente colpite del nord. Se ci dovesse essere una ripresa potremmo avere abbastanza dosi a disposizione per far fronte all’emergenza».


- Dal test sierologico è possibile ricavare un plasma idoneo da donatore che risulti al covid-19 positivo, ma asintomatico?
«Gli anticorpi efficienti sono i neutralizzanti, quindi vanno valutati nella loro qualità. La selezione del donatore viene effettuata su varie situazioni. L’età che deve essere uguale a quella della donazione del sangue, tra i 18 e 65 anni, le donne che abbiano partorito non possono donare e si deve essere in salute anche per gli ammalati di Covid 19, dopo il tempo necessario alla guarigione totale e potranno divenire donatori di sangue abituali. Dobbiamo fare tesoro della volontà dei guariti da Covid-19 di donare, per invogliare tutti a farlo con il proprio sangue abitualmente. Gli uomini possono donare il sangue 4 volte l’anno, le donne in età fertile 2 volte l’anno, le donne in menopausa, 4 volte l’anno. La donazione viene effettuata su appuntamento, presso l’ospedale di Cosenza e in mezz’ora si svolge il tutto. Inoltre, vi sono vari centri sul territorio per poter donare, verranno rilasciati certificati per giustificare sia gli spostamenti in periodo di blocco della libera circolazione sia per assenza dal lavoro».

Lucia De Cicco
giornalista pubblicista (OdG Calabria)
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Il Savuto non smette di regalare emozioni. L'intera valle, quasi come un libro, tratteggia paesaggi che non hanno nulla da invidiare alla fiabe dei fratelli Grimm. Questa volta, un bellissimo volatile è il protagonista del nostro racconto in chiave giornalistica. Una rara bellezza, un volo letteralmente militare, un richiamo inconfondibile, vista impeccabile, parliamo dell'aquila. Questo splendido uccello  trasuda di libertà da ogni angolazione possibile.

La sua presenza è confermata anche nel Savuto, presumibilmente per  brevi periodi. "Da diversi anni, da giugno fino alla fine di settembre, vedo due splendidi volatili  sui cieli della valle. Percorro quotidianamente le strade di montagna, che dalla frazione di Pallone, nel territorio del Comune di Marzi, arrivano al piccolo villaggio di Orsara. Puntualmente posso ammirare in volo una coppia di aquile", ci racconta Giuseppe Scalzo, poliedrico conoscitore dei boschi. "La prima volta, salendo con il mio fuoristrada, ho intravisto il rapace impegnato a combattere con un serpente.  Ho tentanto, senza successo, di poter fotografare questa scena letteralmente mozzafiato. Sai, il richiamo dell'aquila è inconfondibile, non può essere scambiato con quello di altri uccelli", afferma Scalzo. Il suo racconto cattura la nostra attenzione, e decidiamo di trasmettere questa storia ai nostri lettori. 

"Voglio subito chiarire una cosa, questi territori non rappresentano l'habitat perfetto per le aquile. Probabilmente, la massiccia presenza di prede potrebbe essere  una delle cause principali di queste incursioni in zona", ha concluso Giuseppe. E' proprio il caso di dirlo, ne vedremo delle belle. Come? Basta semplicemente scrutare il cielo...la fiaba continua.

Omar Falvo

Giornalista Pubblicista

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GRIMALDI – L’attività dell’amministrazione comunale va avanti anche e soprattutto in questo difficile periodo.
Proprio nel pomeriggio, il sindaco Roberto De Marco, per mezzo di un comunicato diffuso sulla bacheca Facebook del Comune, ha informato i cittadini in merito ai provvedimenti che l’ente intende attuare, a breve, a favore della collettività.
«Verrà erogata – ha annunciato il sindaco - la seconda tornata dei buoni spesa per gli aventi diritto, per garantire un minimo di sostegno a quei nuclei familiari in particolare difficoltà economica».
De Marco, ha inoltre reso noto che l’ente provvederà a effettuare la sanificazione delle strutture pubbliche e dei luoghi di culto.
«Dopo la prima sanificazione di tutti gli edifici a uso pubblico, effettuata nella prima parte dell’emergenza sanitaria, la stessa – ha assicurato il primo cittadino - verrà ripetuta nei prossimi giorni, con l’approssimarsi del 18 maggio. In tal senso, da un colloquio con il sacerdote, con il quale manteniamo un proficuo rapporto di collaborazione, è emersa la necessità in vista di una riapertura al culto degli edifici religiosi, di provvedere alla sanificazione anche dei medesimi, che sarà a carico dell’amministrazione, e ragionevolmente avverrà negli stessi periodi. Le attività dell’amministrazione – ha concluso - sono tuttavia in continua evoluzione e a breve vi aggiorneremo sulle altre che stiamo imbastendo per affrontare in sicurezza la ripartenza».

GRIMALDI – Sono state distribuite in giornata le mascherine chirurgiche anti-virus. L’iniziativa, promossa dall'amministrazione comunale, rientra fra quelle volte al contenimento della diffusione del Covid-19 e al sostegno delle famiglie.
La distribuzione dei dispositivi di sicurezza è avvenuta per mezzo dei volontari della Protezione civile, che affiancano costantemente il sindaco e gli amministratori in tutte le attività a favore della collettività. Grazie al loro impegno, ciascun residente ha potuto ricevere, presso il proprio domicilio, una mascherina chirurgica.
«L'impegno dell’amministrazione comunale – ha affermato il primo cittadino Roberto De Marco - rimane alto, e oltre alla consegna delle mascherine per tutta la popolazione grimaldese, anche in misura sovrabbondante in quei casi ove necessitasse un surplus di dispositivi, provvederemo alla massima dotazione sanitaria per i cittadini».
L’iniziativa assunta dal Comune di Grimaldi, di dotare la popolazione dei dispositivi di sicurezza, è stata adottata in questi giorni anche da altri enti del Savuto.

 

 

Il prossimo 15 maggio, venerdì, su Rai1 in prima serata alle 21.25 andrà in onda il film "Tutti i soldi del Mondo" di Ridley Scott che racconta del sequestro di Paul Getty jr, sequestrato a Roma dalla 'ndrangheta nel lontano 1973.
La trama del film è lontanissima dalla realtà, tantissime vicende narrate nel film non sono rispondenti ai fatti e non si intravede nel film nessuna definzione di quella che allora era la 'ndrangheta che, con i proventi del sequestro Paul Getty, sancì definitivamente il suo passaggio da organizzazione criminale pastorale, agricola e terriera in una potentissima holding imprenditoriale.
In merito alla proiezione del film è opportuno raccontare come si svolsero i fatti di un sequestro che fece parlare il mondo e fece conoscere la 'ndrangheta ben al di fuori dei confini calabresi e nazionali.
"Erano i primi anni settanta, quel decennio che tanto sconvolse la vita dell’Italia. Gli anni del decennio nero, gli anni della contestazione, delle stragi, della rivolta di Reggio Calabria dei Boia chi molla, gli anni del sequestro di Aldo Moro. E furono anche gli anni in cui la già potentissima organizzazione criminale della ‘ndrangheta avvia una nuova industria ed un nuovo metodo per accumulare denaro da investire nel traffico di droga e negli appalti, segnando l’avvio di quel processo di infiltrazione di capitali illegali nell’economia legale che determinerà quel fenomeno ancora oggi sottovalutato, quello dell’economafia.
La nuova industria è quella dell’anonima sequestri, che per anni sarà l’artefice di decine e decine di sequestri effettuati nell’intero territorio nazionale con molti dei sequestrati che, nonostante il riscatto pagato, non ritorneranno più nelle loro case lasciando affranti per sempre i loro cari. E’ la notte fonda del 10 luglio del 1973, una bella notte con un cielo estivo stellato che rende ancora più belle le favolose piazze romane stracolme di tanti giovani hippy, di tanti giovani che vogliono essere figli dei fiori, che amano e sognano la libertà, il libero amore, che sono contro le caste e contro la ricchezza in mano di pochi che sfruttano i molti. Fra questi giovani a Piazza Navona, che si dilettava a disegnare e vendere piccoli quadretti alla giovanissima età di soli sedici anni, vi era anche Paul Getty III, che viveva a Roma con la madre, proprietaria di una boutique a Piazza di Spagna. Un giovane che aveva un nome altisonante, era infatti, uno dei quattordici nipoti di Paul Getty I, il magnate del petrolio, l’uomo, nel 1973, più ricco del mondo. Quella notte il giovane Paul Getty III scompare misteriosamente da Piazza Farnese, a due passi da Piazza Navona e Campo dei Fiori nel centro storico della città eterna.. Della scomparsa i giornali dell’epoca ne pubblicano solo qualche riga pensando, inizialmente, ad uno scherzo o ad un tentativo messo in atto dallo stesso giovane con lo scopo di estorcere qualche soldo al ricchissimo quanto spilorcio nonno. Inizia, invece, in realtà, un triste destino di un giovane che ha avuto solo la colpa di essere il nipote dell’uomo più ricco del mondo e la cui vita è stata solo una immane somma di atroci sofferenze ed immensi dolori. Da quella notte inizia il sequestro di Paul Getty III che rimarrà nelle mani dei suoi aguzzini per 158 lunghi ed interminabili giorni. Esperienza dalla quale il giovane Paul non uscirà mai più. Paul venne rilasciato all’alba del 15 dicembre del 1973 sull’autostrada del Sole all’altezza dello svincolo di Lauria, all’esatto confine fra la Calabria e la Basilicata, nella zona del Monte Pollino. Il camionista Antonio Tedesco, che, casualmente, incontrò il giovane Paul nei pressi dell’autostrada nello stesso posto nel quale qualche giorno prima venne consegnato il riscatto, e che accompagnò il giovane presso la locale stazione di polizia, venne intervistato dai cronisti di mezzo mondo. Paul, figlio di genitori separati, aspettò che la mamma, Gail Harris, con la quale viveva arrivasse da Roma per venirlo a prendere. Venne rilasciato in pessime condizioni di salute dopo aver subito la mutilazione di un orecchio che venne spedito in una busta alla redazione romana del quotidiano “Il Messaggero” insieme a delle ciocche di capelli per dare la prova che il giovane fosse nelle mani dei sequestratori disposti a tutto pur di ottenere il riscatto richiesto direttamente al nonno. Riscatto che inizialmente venne fissato nella cifra di due miliardi di lire per poi giungere, nel tempo, alla richiesta astronomica per quei tempi di ben dieci miliardi. Memorabile l’affermazione di Paul Getty senior che appena ricevuta la richiesta del riscatto affermò: “Ho ben quattordici nipoti, se pago per uno prima o poi mi rapiscono anche tutti gli altri”. La prima richiesta di riscatto giunse ai familiari di Paul il 26 luglio, dopo soli 16 giorni dal sequestro, e venne quantificata in due miliardi di lire. A tale richiesta seguì il netto rifiuto di pagare. Seguirono due mesi di apparente silenzio da parte dei sequestratori anche se le successive indagini accerteranno che nel frattempo vi furono contatti tra emissari dei rapitori con i legali della famiglia e si registrò anche l’arrivo a Roma di detective privati e di uomini dell’FBI americana.
La domenica dell’11 novembre del 1973 l’intera prima pagina de “Il Messaggero” titolava “Il macabro plico arrivato ieri al Messaggero”. Articolo nel quale si documentava minuziosamente l’orrenda decisione presa dai rapitori di mutilare Paul di un orecchio e di spedirlo in una busta insieme a delle ciocche di capelli. Gesto eclatante e che fece il giro del mondo anche perché era la prima volta in assoluto che si adottava un simile messaggio. Sistema che venne poi emulato e adottato dai tanti altri sequestri di persona. Per ironia della sorte ed anche per la nota lentezza dei servizi postali italiani la busta contenente l’orecchio mozzo di Paul che venne spedita da Napoli impiegò ben venti giorni per giungere a Roma. “Se dopo questa lettera non succederà nulla, aspetterò la morte a soli 17 anni”, scriveva lucidamente e con una fortissima angoscia il giovane Paul costretto a vivere in una lurida e fredda prigione che venne poi ritrovata dalle forze dell’ordine qualche anno più tardi.
Di ben 1000 miliardi era il patrimonio dei Getty nel 1973 ed il valore della compagnia petrolifera di famiglia raggiungeva quota tremila miliardi, ma , nonostante ciò, molte furono le titubanze nel pagare il riscatto ed addirittura il nonno pretese dal nipote la restituzione di quanto consegnato con rate a cadenza annuale con l’interesse del 4%. Ma al di là della vicenda personale di Paul Getty III morto a 54 anni per l’aggravarsi del suo già grave quadro di salute, in Inghilterra nella residenza di famiglia, nella campagna di Buckinghamshire, dopo aver vissuto per ben trent’anni su una sedia a rotelle completamente paralizzato e quasi cieco, sordo e non in grado di parlare correttamente, in seguito ad una overdose di eroina che nel 1981, a 24 anni, gli procurò un ictus devastante.
Il sequestro di Paul Getty III rappresentò il vero e primo “colpo grosso” della ‘ndrangheta che riuscì ad incamerare ben un miliardo e settecento milioni che rappresentarono il primo enorme tesoro dal quale partì la scalata imprenditoriale dell’organizzazione stessa. La leggenda metropolitana narra di un intero quartiere a sud di Bovalino, paese dell’entroterra aspromontano, che gli abitanti del tempo, oggi anziani, ricordano e chiamano ancora “Polghettopoli”. Un intero quartiere, una intera via denominata “Via degli Oleandri”, le cui abitazioni , si narra, sembra siano state costruite con i proventi del sequestro. E non solo le case ma anche l’acquisto di decine e decine di automezzi pesanti adibiti al trasporto terra con i quali si partecipò all’appalto pubblico di sbancamento per l’allora costruenda centrale a carbone che non venne mai costruita. Progetto che poi venne sostituito dalla costruzione del porto di Gioia Tauro che oggi rappresenta uno dei porti commerciali per containers fra i più importanti e strategici d’Europa. Un duplice obiettivo quello legato al sequestro del secolo dell’hippy d’oro. Quello di reinvestire il denaro per avviare una lucrosa attività di gestione del traffico di stupefacenti che nel 1973 era ancora monopolio della mafia siciliana, mentre oggi è monopolio della ‘ndrangheta e introdursi nell’economia legale creando una economia parallela in grado di dare sollievo a quella popolazione oberata dalla fame, dalla crisi e dall’assoluta mancanza di opportunità di lavoro. E non di rado gli investigatori hanno potuto notare che una buona parte della popolazione interessata non solo non ha mai fornito alcuna collaborazione per cercare di individuare dove fosse tenuto nascosto l’ostaggio, ma si instaurò un fenomeno di fiancheggiamento collettivo che invece era fondamentale per la ‘ndrangheta che godeva del consenso popolare. Fiancheggiamento che risultò utile e prezioso anche per i tanti altri sequestri che l’anonima sequestri calabrese continuò ad organizzare per tutti gli anni settanta. Una ‘ndrangheta in ascesa che godeva del consenso popolare e che poteva contare anche con una scarsa incisività delle indagine e dell’azione giudiziaria. Non esistevano allora né pentiti , né collaboratori di giustizia ed i processi erano spesso dei processi – farsa dove le assoluzioni per insufficienza di prove fioccavano.
Il processo per il rapimento si tenne presso il Tribunale di Lagonegro, sede di competenza del luogo dove venne ritrovato Paul Getty III e si concluse, nel suo primo grado, nel luglio del 1976. Due furono i condannati, due figure minori, Antonio Mancuso, proprietario dell’auto che trasportò materialmente il riscatto e Giuseppe la Manna, guardiano notturno, al quale vennero ritrovate alcune delle banconote facenti parte del riscatto. Vennero assolti per insufficienza di prove i veri boss della ‘ndrangheta calabrese. Personaggi del calibro di Girolamo Piromalli detto “Don Mommo” e Saverio Mammoliti detto “Saro”, che ne hanno fatto la storia. In appello le pene vennero ridimensionate. Il processo ebbe anche una coda a Milano, per decisione della Cassazione ed uno dei due rapitori, per altre vicende criminali, finì internato per un periodo in un famigerato manicomio criminale. Tranne poche banconote il riscatto non venne mai più ritrovato. Paul Getty III dopo solo un anno dal suo rilascio incontra una giovane e bellissima modella tedesca, Gisela Zacher, che sposerà. Matrimonio che gli costerà il fatto di essere diseredato dal nonno che aveva stabilito che, qualora i suoi nipoti si fossero sposati in una età inferiore ai 25 anni, avrebbero perso ogni diritto ereditario. Dal matrimonio nasce un figlio, Balthazar Getty, che vive e lavora ad Hollywood con una discreta carriera di attore alle spalle. Un processo, quello sul sequestro di Paul Getty III che ben dimostra la realtà del tempo. Una Italia impegnata a fronteggiare altre esigenze, come quella del terrorismo. Una nazione che non disdegna il mantenere rapporti occulti con le organizzazioni criminali come la mafia siciliana, la banda della Magliana che controlla la città di Roma, ed ovviamente, anche la ‘ndrangheta calabrese. Rapporti che servono da corollario a quella strategia della tensione che negli anni Settanta vede coinvolti pezzi deviati dello Stato che sull’altare della ragion di Stato basato sull’anticomunismo nell’ottica della guerra fredda ha tollerato l’espansione di un potere forte sommerso e pericoloso come la ‘ndrangheta che , comunque, poteva in alcune situazioni ed operazioni, addirittura essere utile alla causa comune. E fra i personaggi coinvolti nel sequestro che segnò l’avvio della mafia imprenditrice e determinò il salto di qualità da una mafia campestre e rurale in una criminalità economica organizzata e con forti mire espansionistiche di natura economica in tutti e cinque i continenti merita particolare attenzione Don Saro Mammoliti, da ben nove anni dissociato dall’onorata società. Figura centrale dell’universo ‘ndranghetista insieme a Mommo e Peppino Piromalli, Peppino Pesce, Mico Rugolo e Teodoro Crea determinò l’avvio della nuova fase espansiva della ‘ndrangheta nel controllo del mercato mondiale degli stupefacenti. Sempre circondato da belle donne al punto tale di meritarsi il soprannome di “Playboy della ‘ndrangheta” ed appassionato di fiammanti auto sportive amava frequentare i night club più in voga nelle roventi notti romane senza disdegnare qualche capatina nei locali milanesi di Francis Turatello. Nel 1975, da latitante si sposò. Due agenti della Cia americana lo avvicinarono fingendosi trafficanti di eroina e cocaina per acquistare un ingente quantitativo di droga. Don Saro rispose che per portare a termine l’operazione era necessario ottenere l’assenso di Don Mommo Piromalli, capo della ‘ndrangheta tirrenica, di Don Antonio Macrì, capo della ‘ndrangheta ionica e di Paolo Violi capomafia a Toronto. L’ipotesi più accreditata è che il sequestro venne ideato e concepito nell’ambito della federazione dei capi che gestiva l’organizzazione nella Piana di Gioia Tauro per la necessità in quel 1973 di reperire fondi da investire soprattutto negli appalti per le grandi opere che stavano sopraggiungendo. Erano gli anni del pacchetto Colombo che approvò per incentivare l’industrializzazione calabrese il grande sogno del quinto centro siderurgico, proprio quando i grandi colossi della chimica stavano per vivere la loro più grande crisi. In realtà una buona scusa per far arrivare in Calabria tanti soldi pubblici che servivano anche a finanziare in modo occulto partiti e segreterie politiche dei partiti allora al potere. Occorrevano centinaia di milioni per comprare ruspe, mezzi edili e quant’altro per accaparrarsi i lucrosi appalti anche con la complicità dei colletti bianchi della politica dell’epoca. La ‘ndrangheta che, allora per la prima volta , diventa impresa. E tutto ciò legato al destino di un povero giovane, ricco solo per il cognome che portava, che dalla vita non ha avuto nulla, se non sofferenza. Al suo nome e ai soldi del suo avarissimo nonno si legherà per sempre il primo grande processo di trasformazione e di crescita di una potenza economica che, denominata ‘ndrangheta, rappresenta oggi, nonostante la perseveranza nel sottovalutarla, la più grande e temibile holding globalizzata del crimine mondiale". 

 

Al via la consegna di  oltre 1200 dispositivi di sicurezza per contrastare la diffusione del covid-19. Questa volta, location dell'iniziativa la valle  Savuto, precisamente riflettori accesi sul territorio del Comune di Scigliano.  Una massiccia operazione è in corso, per il bene di tutta la popolazione, attraverso la distribuzione di mascherine doppio strato, interamente costruite in cotone.  L'amministrazione comunale, capeggiata dal sindaco Raffaele Pane, ha inteso avviare queste misure per garantire, dopo diversi protocolli di contrasto alla  diffusione di questo virus invisibile, una maggiore sicurezza per l'intera comunità.  "Visto il numero elevato di mascherine e la grandezza del nostro territorio, la consegna si completerà nei prossimi giorni. Per non creare assembramenti, le mascherine verranno consegnate direttamente presso la propria residenza", ha dichiarato il primo cittadino Pane, attraverso una nota, diffusa sulla pagina ufficiale del Comune.

 Omar Falvo

Giornalista Pubblicista

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 L'Arma  dei carabinieri ha svolto, e svolge costantemente,  un ruolo indispensabile nella la dura battaglia al Covid-19. Controlli territoriali, sostegno morale, vicinanza, sicurezza, aiuti concreti per le fasce più deboli, solo alcuni dei tasselli di questa storia tutta italiana, che trasuda di passione e amore, per uno dei lavori più affascinanti nell'immaginario dei bambini, e non solo.

La capillare distribuzione delle varie Stazioni, su tutto il territorio del nostro Paese, raffigura un baluardo di certezza per tutti i cittadini. Anche nel Savuto, i militari della Compagnia dei carabinieri di Rogliano (Cs), al comando del Capitano Bologna, hanno avuto un ruolo nevralgico nella gestione, e soprattutto nelle varie fasi  dell'emergenza. Turni massacranti,  nella zona rossa per settimane,  pattuglie disseminate in tutta la valle,  hanno garantito, per la popolazione,  una concreta fruizione dei decreti emanati dal Governo, per contrastare questo nemico invisibile, che volteggia nell'aria e non solo.

Sui Social, più volte, la vicinanza per questi ragazzi è stata plasmata da migliaia di messaggi, pensieri indelebili nel grande oceano della rete. Con tutta la redazione de "La Voce del Savuto" vogliamo esprimere, attraverso queste semplici parole, la nostra gratitudine per tutti questi ragazzi. Semplicemente...grazie!!!

Omar Falvo

Giornalista Pubblicista

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